La sfida della Chiesa

La Chiesa, la politica, la laicità, la famiglia, i media e… il diavolo, in una lunga intervista concessa dal vescovo Delio Lucarelli a Giovanni Panettiere, giornalista de «Il Giorno – Resto del Carlino – La Nazione», che pubblichiamo per i nostri lettori

A febbraio la rivista dei dehoniani «Settimana» (6 febbraio) ha ospitato l’intervento di un parroco della sua diocesi, don Lorenzo Blasetti di Santa Rufina (Rieti). Nella sua lettera il prete accusa la Chiesa di essere ««ancora troppo cauta» nella denuncia di quei politici che, pur dichiarandosi cattolici, strumentalizzano la loro «appartenenza alla Chiesa per raggiungere obiettivi che non siano coerenti con il Vangelo». Che ne pensa?

Ritengo vi siano alcuni politici, non solo sul piano nazionale, ma anche locale, che usano strumentalmente la loro appartenenza alla Chiesa. È pur vero che in molti casi la loro appartenenza è reale, tuttavia le scelte non sempre sono coerenti. Mi rendo conto che questo non sempre è possibile, anche per via dei consessi e degli organismi in cui sono chiamati a deliberare.

Come si misura la coerenza di un politico cattolico?

Anzitutto proponendo e votando leggi che siano conformi il più possibile alla sua identità culturale e cristiana. Il principio troppo spesso sbandierato di rendere possibile a chi la pensa diversamente di fare cose in cui non si crede e che non si fanno, non è corretto. Uno vota in conformità alla sua visione della vita, se poi il suo voto è minoritario se ne fa una ragione, ma se è maggioritario non deve sentirsi né illiberale, né intollerante.

Oggi i cattolici diventano politici semplicemente candidandosi alle elezioni.

Fino a qualche decennio fa si candidavano dopo una lunga scuola di partito e respiravano la dottrina sociale della Chiesa fin dall’inizio del loro attivismo politico.

Nostalgia della Dc e del partito unico dei cattolici?

No, perché i tempi sono cambiati. Ho nostalgia di politici ben formati, consapevoli del ruolo, un po’ più sobri di molti che oggi non sembra si sappiano regolare.

In parte del popolo di Dio cresce la convinzione che sussista una sorta di ‘santa alleanza’ tra la Cei e l’esecutivo in nome della tutela dei valori non negoziabili.

Francamente non ritengo che vi siano sante alleanze. L’interesse della CEI e di tutti i vescovi è quello di tutelare soprattutto le persone concrete che vivono nel loro contesto umano e sociale. Noi vescovi ascoltiamo ogni giorno i nostri sacerdoti, ma anche tanti fedeli, e posso dire che abbiamo ben chiaro il livello delle loro attese.

Quindi?

Quando un governo, di qualsiasi colore sia, emana leggi che sono compatibili non solo e non tanto con l’insegnamento cristiano, bensì con il sentire di questa nostra gente, non possiamo che essere soddisfatti. Quando queste leggi sono o in contrasto aperto o discutibili, diciamo la nostra, senza pretendere di essere ascoltati: tacere sarebbe ancor più colpevole.

E quand’è che la laicità dello Stato può dirsi in pericolo?

È in pericolo quando si vuole imporre non solo con la forza, ma anche con confronti non democratici una qualsiasi opinione. Oggi si tende a pensare che sia in pericolo solo quando parla la Chiesa o le religioni. Ma ridurre la Chiesa al silenzio, in alcune materie soprattutto, vuol dire impedire il pluralismo. Il pluralismo deve essere a tutto campo, non solo a favore di minoranze e contro la Chiesa. Una laicità che escludesse la posizione religiosa o la relegasse ad opinione arazionale e irragionevole sarebbe più insidiosa del fanatismo e dell’intolleranza religiosa.

Anche nel suo recente viaggio in Nord Est Papa Benedetto XVI, nella basilica di Aquileia, ha sottolineato la necessità di dar vita a una «cultura cattolica», fondata sulla tutela della vita e della famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna. Non le pare che il magistero pontificio corra il rischio di ridursi a una costante riaffermazione dei principi inderogabili per la Santa Chiesa?

Lei ha usato il verbo ‘ridursi’, ma in quei due princìpi (tutela della vita e famiglia fondata sul matrimonio) si gioca non solo il futuro della società sul piano affettivo, educativo, antropologico, ma anche economico e più ampiamente culturale del nostro Paese e dell’Europa. I Paesi, anche vicini a noi, che hanno fatto scelte azzardate in tali campi e che si riteneva avrebbero avuto uno sviluppo economico straordinario, in realtà sono in una crisi anche più grave. L’errore che si compie è quello di considerare la società e l’uomo a compartimenti separati. Eppure non è così.

Pensa alla Spagna?

Anche, ma vi sono tanti Paesi del Vecchio continente che si stanno orientando verso legislazioni contro la famiglia e contro la vita.

Nel 2010 fece scalpore l’udienza da lei concessa alla candidata Pdl alla presidenza della Regione Lazio, Renata Polverini. Ad alcuni sembrò una vera e propria ‘benedizione’. Come andarono effettivamente le cose?

Mi fu detto dal sacerdote che si occupa della commissione per i problemi sociali e del lavoro che la candidata alla presidenza della Regione voleva incontrarmi. Io l’ho ricevuta come avrei fatto e faccio con tutti. Poi solo loro scesero in cattedrale, io non c’ero e non ho benedetto nulla. Perché avrei dovuto rifiutare l’udienza? La Chiesa ha il dovere di parlare con tutti cordialmente in maniera affabile. Non si tratta di scelte politiche o messaggi più o meno espliciti. Se fosse venuto l’altro candidato, l’avrei ricevuto ugualmente.

Davvero?

Senz’altro, pensi solo che recentemente abbiamo invitato in cattedrale Fausto Bertinotti a parlare del rapporto tra Dio e socialismo. Qualcuno si è anche scandalizzato.

Anche il recente numero 11 del settimanale diocesano «Frontiera», dedicato a un gustoso e ampio dossier su possessioni, esorcismi, diavoli, sette e inferno, ha fatto discutere. Perché questa scelta?

Le scelte editoriali non dipendono dal vescovo che viene sempre informato quando si tratta di argomenti un po’ particolari, ma non entra direttamente nelle valutazioni della redazione. Non si deve eccedere né scegliendo unicamente il sociale, né unicamente l’ambito dottrinale. Ciò risponde all’esigenza di formare i cattolici, secondo quanto disposto dal Sinodo diocesano del 2005, trattando tematiche ad ampio raggio.

Con quali applicazioni?

Da almeno due anni il nostro settimanale si è rinnovato e coloro che se ne occupano ogni tanto approfondiscono temi di fede o di morale, di dottrina o di storia del cristianesimo, oltre che di attualità sociale e politica.

E Satana, monsignor Lucarelli, esiste davvero? Chi è il principe delle tenebre?

Secondo la dottrina cattolica sì. Non è un simbolo, ma un essere spirituale attivo nel mondo e nel cuore dell’uomo. Averne edulcorato o addirittura oscurato il concetto non è stata una buona idea.

È vero che la precedente redazione del settimanale era troppo progressista?

Guardi, non direi! Quella attuale è talmente ‘progressista’ che ha ricevuto i complimenti di formazioni politiche e sindacali non certo vicine al mondo cattolico.

Che già deve guardarsi dalla secolarizzazione e dalla postmodernità. Due sfide o due opportunità per il popolo di Dio?

Sono opportunità, certo anche sfide in senso positivo. Portano con sé rischi e insidie. Restano, comunque, il contesto, l’ambiente vitale nel quale può, anzi, deve farsi strada l’opera di evangelizzazione della Chiesa. L’annuncio del Regno di Dio deve avvenire nella storia, a questo siamo chiamati.

E in questa fase, contrassegnata dall’individualismo e dalla costante liturgia al dio denaro, la Chiesa ha ancora un ruolo da giocare o rischia di congedarsi mestamente dalla storia?

Penso che abbia una grande funzione, un ruolo molto importante. Tanti guardano alla Chiesa come a un punto di riferimento. Anche coloro che ritengono di non farne parte o che si sono allontanati. Essa combatte l’individualismo con la cura della comunità, e la liturgia al dio denaro con il culto del vero Dio. Per questo non si congeda dalla storia, non lo vogliono neppure coloro che lottano contro di essa.