In “Selma” la forza del nero

Un film liberante che restituisce per intero la figura di Martin Luther King

A cinquant’anni di distanza, il cinema celebra sullo schermo la famosa marcia che portò migliaia di americani, neri e bianchi, dalla cittadina di Selma, in Alabama, fino alla capitale dello stato, Montgomery. Era il 1965, il sud degli Stati Uniti era ancora fortemente razzista, nonostante i passi avanti nella lotta per i diritti della gente di colore, e un uomo era il leader indiscusso di questo movimento: Martin Luther King. Eroe delle battaglie civili per i neri, cantore della via pacifica per la lotta, vincitore del Premio Nobel per la pace, King è il protagonista di “Selma”, film candidato ai prossimi premi Oscar (miglior film e miglior canzone). Nella pellicola assistiamo alla marcia simbolica organizzata da King per rivendicare il diritto dei neri a votare. Di fronte a questa manifestazione così potente, ripresa dai media, che aveva causato non pochi problemi a livello di ordine pubblico, visto il razzismo ancora manifesto, il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson fu costretto a firmare il Voting Right Act, che finalmente dava la possibilità alla gente di colore di esercitare il voto.

Il tema della discriminazione razziale è stato affrontato seriamente dal cinema americano soltanto a partire dagli anni Sessanta. Prima, l’immagine degli uomini e delle donne di colore era per lo più stereotipata e ricca di pregiudizi. Basti pensare a “Mamy”, la cameriera di Rossella O’Hara in “Via col vento” che incarna bene l’immagine della schiava nera al servizio dei bianchi. Uno dei primi film a porre la questione razziale come problema da risolvere è stato “Il buio oltre la siepe” con Gregory Peck, avvocato che difende un uomo di colore accusato ingiustamente di aver commesso una violenza contro una ragazza bianca. Ma è con due film che hanno come protagonista il divo nero Sidney Poiter che il pubblico americano comincia a riflettere profondamente su questo tema. “La calda notte dell’ispettore Tibbs” racconta le vicende di un detective di colore che cerca di scagionare un giovane nero incriminato illegittimamente in una cittadina piena di pregiudizi razziali. E “Indovina chi viene a cena”, con la coppia di divi Katherine Hepburn e Spencer Tracy, in toni da commedia, ci narra lo sconquasso all’interno di una famiglia dell’alta società americana quando la giovane figlia annuncia di voler sposare un medico di colore. Da allora moltissime sono state le pellicole che hanno affrontato di petto il problema, mostrandone tutte le ingiustizie e vessazioni. Spike Lee, regista afroamericano che spesso ha messo al centro delle sue opere la questione razziale, ha girato nel 1992 “Malcom X”, con Denzel Washington, autobiografia di uno dei più grandi, ma anche controversi, capofila afroamericani del XX secolo, che spesso predicava, per difendere la causa dei neri, “l’odio verso i bianchi”.

Oggi per la prima volta, però, il cinema dedica un film biografico sull’icona pacifica della battaglia per gli afroamericani. Quel Martin Luter King che è celebrato anche con una giornata nazionale in suo onore. La pellicola si concentra su un solo tassello della sua pacifica battaglia, non è, perciò, un biopic che segue dall’inizio fino alla sua morte violenta (ucciso, come del resto Malcom X, durante un comizio) i passi del suo protagonista. Si potrebbe pensare che, scegliendo una prospettiva così ristretta e non onnicomprensiva, ne venga fuori un ritratto parziale e “mancante”, in realtà la pellicola riesce a rendere la profondità e la grandezza di un uomo che ha segnato la storia degli Stati Uniti e non solo, mostrandone la fiducia incrollabile nel “sogno” che predicava, ma anche i momenti difficili, i dubbi, le paure e i ripensamenti.