Il ritorno di Silvio Muccino

Con “Le leggi del desiderio” strizza l’occhio alla commedia americana

Silvio Muccino torna dopo cinque anni al cinema con “Le leggi del desiderio”, film di cui è sceneggiatore, regista e interprete. Una lunga assenza dagli schermi, in cui il giovane fratello del più famoso Gabriele, ha cercato se stesso, isolandosi da tutto e tutti. Silvio ha iniziato a recitare, infatti, a soli 17 anni nel film del fratello, “Come te nessuno mai”, di cui era anche sceneggiatore. Storia di adolescenti alle prese con i primi amori.

Da allora non si è mai fermato, inanellando una serie di successi sempre nella parte del giovane inquieto ma romantico, che cerca il suo posto nel mondo. Come nei campioni d’incassi “Che ne sarà di noi”, “Manuale d’amore” e “Il mio miglior nemico”, di e con Carlo Verdone. Nel 2008 la svolta con “Parlami d’amore”, primo film da sceneggiatore, regista e interprete, e poi con “Un altro mondo” si allontana dai ruoli fino ad allora interpretati, cercando di scrollarsi di dosso l’immagine di eterno Peter Pan. La prima è una pellicola che racconta ancora una storia d’amore ma questa volta più adulta e consapevole. La seconda è la storia di un ragazzo viziato e dedito alla superficialità che, improvvisamente, scopre di avere un fratello adottivo in un paese africano: l’incontro con il bambino gli cambierà totalmente la vita e lo porterà a modificare tutte le sue priorità. Un’opera non perfettamente riuscita, ma che mostrava la svolta di Muccino attore e regista, alla ricerca di vicende più vere e importanti da raccontare, fuori dai cliché in cui prima era imprigionato.

Oggi, “Le leggi del desiderio” è la storia di un carismatico trainer motivazionale che aiuta le persone a raggiungere i propri sogni e ad avere successo nella vita, senza fermarsi davanti a nulla. Anche se la pellicola mostra come la visione del mondo che divide la realtà solo tra vincenti e perdenti crei individui infelici e soli. Un film, dunque, che, all’interno della cornice del genere della commedia (strizza l’occhio ai temi e al ritmo americani), vuole farsi specchio dei nostri tempi: tempi di frustrazioni, di delusioni, paure, in cui cerchiamo di adeguarci a modelli imposti irraggiungibili e soprattutto solo esteriori, che finiscono per svuotarci dentro. Tempi in cui abbiamo bisogno di mental coach per poter cercare un’illusoria felicità.

Giovanni è un life coach di successo, giudicato alternativamente profeta o ciarlatano, pagliaccio o portento. L’ultima iniziativa mediatica che lo vede protagonista è un concorso televisivo in cui tre persone verranno selezionate ai casting per diventare sue cavie: in sei mesi Giovanni porterà ognuno di loro a conseguire i successi che desiderano. I tre selezionati sono un sessantenne disoccupato in cerca di impiego, una cinquantenne segretaria in Vaticano con la passione per la scrittura di romanzi un po’ sboccati, e una trentenne editor e amante del suo capo, che guarda caso è anche lo sponsor del concorso. “Le leggi del desiderio” riesce a mantenersi all’altezza professionale di molte commedie americane contemporanee per ritmo e confezione, ma latita un po’ a livello di sceneggiatura, negli snodi di svolta della storia, che gli permetterebbero di fare, invece, un salto di qualità. Il film, comunque, invita a gettare le maschere che indossiamo nella vita e a recuperare i nostri desideri più veri e profondi, per essere veramente felici. Desideri che non riguardano gli aspetti più superficiali o luccicanti del modo di vita che oggi ci viene imposto come modello, ma che riguardano la nostra essenza più vera e più “umana”.