Castel di Tora: quando il popolo è ferito

CASTEL DI TORA – Sono circa le 22 di sabato 7 luglio, sono sicuro che il sacerdote comodatario che detiene Villa Santa Anatolia in Castel di Tora, Emilio Messina, di origini siciliane e incardinato nella diocesi di Camerino, abbia anche quest’anno aperto i cancelli della Villa e la porta del Santuario per accogliere la processione e il simulacro della martire Santa Anatolia, veneratissima in varie contrade della diocesi, e a Castelvecchio in modo particolare.

Nel passato ha sempre minacciato, il prete manager che sembra non abbia superiori, di non aprire a un popolo “barbaro” le valve dell’antico luogo sacro, per motivi non chiari o comunque pretestuosi e scarsamente significativi.

Telefono a chi so essere presente e mi dice che la statua è stata adagiata lungo la turanense, che guarda il paesotto seduto sornione sulla collinetta che sovrasta il lago del Turano.

Prendo la macchina fotografica e il registratore e in un quarto d’ora faccio Oliveto-Villa Santa Anatolia.

La scena è surreale e mistica ad un tempo. Adagiata su un tavolo e circondata da panche, la statua del 1925 che raffigura la Santa sembra guardare incredula e paziente il paese e, santuario alle spalle, fare da contraltare alla follia umana.

Mi raccontano le ultime ore le signore lì presenti. Giunta nel pomeriggio la processione presso l’ingresso della Villa, anzi del Convento un tempo francescano e poi del Collegio Greco, si capiva che la porta del Santuario sarebbe rimasta chiusa come pure i cancelli prospicienti la strada provinciale.

Sosta per rifocillare i portatori e tavolo per la “macchina”.

Alla ripresa del cammino il tavolo servito per la sosta viene spostato nei pressi dei cancelli serrati; giunge la processione al canto dell’inno «Santa Anatolia tu sei nostra patrona, ascolta le preci del popol tuo fedel… dona pace in terra e la gloria in ciel». Parole come pietre, sembrano scritte per l’occasione.

Il popolo composto, tra incredulità e qualche lacrima, canta i Vespri, praticamente in mezzo alla strada; i carabinieri sempre presenti alla festa disciplinano il traffico stradale; sembra una novella del Verga.

Intanto gli uomini, probabilmente tra qualche “vammoriammazzatu” e qualche “tepozzascrocchiàunfurminu”, strozzati dalla commozione e dalla rabbia, allestiscono un gazebo, portano sedie e panche, un gruppo elettrogeno e lampade, per trascorrere in veglia la notte.

A ora di cena arrivano generi di conforto e specialità gastronomiche, caffè, e comincia la turnazione per fare la veglia alla Santa.

Intervisto le Signore, composte e fiere, mi parlano in italiano, ma qualche inciso se lo concedono in dialetto, decisamente più eloquente e colorito.

Intanto al paese comincia lo spettacolo serale previsto, pare ci sia un comico, chiedo se non sembri un controsenso, mi dicono di no. La festa c’è sempre, non è un funerale.

Si comincia il Rosario, arrivano le “lucchesine” per ripararsi dalla frescura notturna di un lago che partecipa all’insolito evento: «s’udiva intanto dalle amate sponde, sommesso e lieve il mormorio dell’onde». Si alza un venticello leggero, il gruppo elettrogeno è una lontana e discreta colonna sonora della modernità. C’è una fredda luce accesa nel Convento, in strada ci sono le calde luci della fede di un popolo.

Nonostante questi preti la fede c’è ancora. La Statua sembra ridere. È un altro miracolo in riva al lago.

2 thoughts on “Castel di Tora: quando il popolo è ferito”

  1. luigi

    una fedele praticante ed addentro alle questioni del vaticano tempo fa mi disse che il diavolo si era infiltrato dentro la casa di dio,che bisognava essere molto attenti e combattere a tutti i livelli.
    visto ciò che è successo al papa e come si comportano alcuni preti (vedi sfere sessuali deviate a tutti i livelli )il caro Emilio Messina è la prova vivente che la fedele praticante aveva pienamente ragione: e bisogna stare molto attenti ,combattere ed allontanare il più possibile da una società cristiana e sana certi soggetti che nuociono gravemente alla società

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