Giugno Antoniano Reatino 2023

«È il santo di tutto il mondo»: il cardinale Montenegro ai festeggiamenti antoniani

Basilica di San'Agostino gremita di fedeli per i pontificale del cardinale Francesco Montenegro, arrivato in città nel giorno dedicato a sant'Antonio

La pioggia pare destinata a caratterizzare ogni pomeriggio di giugno e dunque non fa sconti nemmeno ai festeggiamenti antoniani. E pure quando spazza le strade con decisione non ha la forza di cancellare i segni della devozione. Quelli fisici, come il pane e i gigli, e neppure quelli dell’anima, che nel giorno della memoria liturgica di sant’Antonio ha visto la basilica di Sant’Agostino riempirsi di partecipazione per l’Eucaristia presieduta dal cardinale Francesco Montenegro.

La ragione di questo affetto è stato lo stesso porporato a indicarla: in Antonio, «santo di tutto il mondo», i reatini riconosciuto «l’uomo di Dio che si distinse per la sua sapienza», ma anche «l’innamorato e protettore dei poveri», capace di «annunciare il Vangelo perché si formasse quell’unica famiglia umana che da sempre è il sogno che il Signore ci ha affidato».

Un Vangelo che per il santo era davvero nutrimento quotidiano, e in questo – ha spiegato il cardinale – sta la chiamata che ancora oggi interprella tutti. «La devozione è vera quando si fa imitazione»: Antonio è stato come uno specchio capace di riflettere la luce di Cristo, il suo volto, e allo stesso compito sono chiamati tutti i credenti. «Cristo è il vivente, ma chiede in prestito la nostra voce per far parlare, le nostre mani per fare bene, i nostri piedi per portare il suo messaggio per le vie del mondo». Dunque la fede non è una faccenda privata, tra sé stessi e Dio. Credere non è essere buoni o credersi tali, ma spendersi, «consumarsi per Dio e per gli uomini».

Oggi può sembrare difficile, ma il mondo lo è sempre. Anche l’epoca di Antonio, la società che ha attraversato, era piena di contese, violenze, grandi povertà. Oggi come sempre, i cristiani sono inviati come “agnelli in mezzo ai lupi”, «ricchi del Vangelo per essere operatori e portatori di pace». E quanto vale verso gli altri, funziona anche per sé stessi. Difficilmente la nostra vita è come l’abbiamo sognata, come la vorremmo. È accaduto anche ad Antonio, che si pensò missionario e martire e si ritrovò naufrago in Sicilia. «Ma non si arrese», perché «si fidava ciecamente di Dio». Ed è questa l’altra forza da cavare dalla devozione: essa «deve scuoterci», perché la fede «non è un’inquilina tranquilla», non è un sentimento da vivere comodo nel chiuso delle chiese, ma allo scoperto, nelle città, nelle piazze, negli uffici.

Ovunque «il cristiano deve portare la propria pietra per la costruzione di un mondo migliore, è responsabile di ciò che succede». Nel preoccuparsi delle sole pratiche religiose si pecca di «viltà e tradimento», non ci si fa né devoti, né imitatori di Antonio.

Certo, la chiamata non è delle più agevoli. Quello dei cristiani è un Dio paradossale: ha la faccia del povero, dell’emarginato, del disgraziato. È un Dio imprevedibile: «Lo cerchiamo nel tempio, è nella stalla; lo cerchiamo tra i sacerdoti, ed è tra i peccatori; lo cerchiamo rivestito di gloria, ma lo troviamo sulla croce ricoperto di sangue». Coltivare questa fede è osare, è rovesciare la prospettiva: non mettere Dio dalla propria parte, ma metterci noi dalla sua».

Guardare davvero all’esempio di sant’Antonio è comprendere e far propria questo atteggiamento che porta allo scoperto la verità della fede, che fa distinguere i cristiani non solo per ciò che fanno, ma per il modo in cui lo fanno. Il cristiano agisce mosso dall’amore, ama come ha amato Cristo. È la pista seguita dal frate venuto da Lisbona, è il solco che ciascuno è chiamato a percorrere.