Dove sei finita, cara Adista?

Quando «Frontiera» provò a toccare il tema del diavolo la rivista di critica ecclesiale «Adista» ci accusò quasi di fascismo. Oggi che ci concentriamo sui problemi dei lavoratori ci accuserà di trotskismo?

Un paio d’anni fa la nota rivista di attualità e critica ecclesiale, «Adista», attaccò frontalmente «Frontiera» collocandola in modo maldestro a destra e accusandola di essere reazionaria. Il tutto includendo nella maldicenza il Vescovo Lucarelli, sicuramente su spinta di qualche sapiente locale.

Ma si tacque quando segnalammo i vari giornali in cui avevamo trattato di temi che erano tutt’altro che di destra. Il che tuttavia non ci colloca.

Ribadimmo allora, come ancora facciamo con orgoglio oggi, che un settimanale diocesano non è di destra né di sinistra e che neppure il Vescovo si collocava e si colloca in nessuna delle due fazioni politiche o ecclesiali, ammesso e non concesso che vi sia una Chiesa di destra e una di sinistra e ammesso che si possa ancora semplificare in questo modo grossolano la visione della vita in una realtà complessa come quella attuale.

Purtroppo, ciò che è reazionario nella nostra realtà locale, anche ecclesiale, è l’ostinazione nel non voler cambiare le cose che vanno male e che nel tempo hanno mostrato le loro falle e le loro insufficienze.

Continuiamo a fare le cose che si sono sempre fatte, senza chiederci il senso e senza avere chiaro il fine che vogliamo raggiungere.

Sabato mattina della scorsa settimana la diocesi, per il tramite di don Valerio Shango, ha chiamato i lavoratori delle aziende in crisi a commemorare il primo anniversario della fiaccolata che mobilitò un po’ tutti per la difesa dei posti di lavoro.

Qualche testata locale lo ha definito un flop: non sembra proprio, anche perché lo scopo non era di tirare giù dal letto chi vuole dormire e pensa di dormire sonni tranquilli. Lo scopo era quello di non far cadere la tensione su un problema grave, ma la diocesi è anche consapevole che non può fare tanto di più. Lo sapevano tutti: parrocchie, cittadini, lavoratori, disoccupati, inoccupati.

L’unico flop che si può sottolineare è che forse erano assenti le parrocchie e quei pastori di disoccupati che hanno perso un’occasione per manifestare la loro vicinanza a chi lotta per arrivare non a fine mese, ma a fine giornata.

Noi siamo sul campo di battaglia di cui ci parla Papa Francesco e dobbiamo salvare i moribondi (disoccupati, coppie in crisi, depressi, sfiduciati) e andiamo ancora in giro con l’aspirina.

Andiamo occupando il nostro tempo a discutere se sia meglio fare la prima comunione in terza elementare o in quarta e se sia meglio fare la cresima subito dopo il battesimo oppure no.

Se uno perde il lavoro e non sa come pagare le bollette non gliene importa niente della prima comunione del figlio, e fa bene!

Una Chiesa di trincea, o di “Frontiera” come preferiamo noi, cura prima le ferite più gravi e lascia dietro tutto il resto, se vuole salvare l’uomo e tutto l’uomo e se vuole essere credibile e accettabile.

Se questo vuol dire essere di destra allora siamo di destra, se vuol dire essere di sinistra siamo di sinistra.

Se poi volesse dire “andare al nocciolo del problema” e tradurre in soldoni il messaggio del Vangelo, allora è un altro discorso.

Il Vescovo nella sua omelia, che non può essere un comizio come è giusto che sia, ha toccato temi di grande rilevanza che hanno suscitato grande attenzione nei presenti alla Messa per i lavoratori, altro che fatta “a tirare via”, e ha posto l’attenzione su una pulizia del lavoro che è condizione imprescindibile perché il lavoro torni ad esserci.

Bisogna che le parrocchie si facciano carico di questo preciso onere, senza occuparsi di questioni marginali che non sono prioritarie e di cui forse non importa niente a nessuno.

La pastorale deve avere una inversione di tendenza se non vuole essere inefficace e avulsa dalla realtà e dai problemi delle persone.

È vero che la Chiesa non è l’ufficio di collocamento, ma manco il museo delle cere!