È la presenza della Comunità francescana interobbedienziale la novità portata dal Giugno Antoniano alla città. Perché la realtà dei tre frati di casa a palazzo San Rufo è presente e attiva a Rieti già da qualche mese, ma è stata la loro costante presenza in San Francesco a offrire la prima occasione per un contatto ad ampio raggio, al di là del servizio alla Mensa di Santa Chiara e alle monache che ospitano l’opera nel proprio convento, o ai malati dell’hospice San Francesco.
E d’altra parte, anche la straordinaria energia dei festeggiamenti antoniani reatini è stata una novità per i tre religiosi che per la prima volta si sono trovati alle prese con un fenomeno di fede unico nel suo genere. A spiegarcelo sono il frate conventuale Luigi Faraglia e il cappuccino Antonio Tofanelli, che insieme al minore Marcello Bonfante sono stati chiamati dal vescovo a essere come «piccoli semi», da cui possa germogliare per tutti un incontro con Dio, con gli altri e con il creato secondo la chiave francescana.
Un fenomeno di fede
«A me ha colpito tanto il senso ecclesiale della festa», spiega padre Antonio. «Nella preparazione della manifestazione e nel suo svolgimento l’intera città è coinvolta. Non c’è soltanto la Pia Unione: chi per un motivo, chi per un altro, in tanti si rendono utili; la città di Rieti è in fermento. È l’immagine di quello che dovrebbe essere ogni giorno un luogo, un ambiente, una comunità socialmente, culturalmente, politicamente impegnata nella lode di Dio seguendo il modello dei santi». Ed è fondamentale il clima di festa, perché aiuta a «incontrare, riscoprire, aiutare l’altro; a uscire dal nostro “io onnipresente” per aprirsi a un tu», a un senso di comunione che vede «tutti impegnati nel lodare il Signore al meglio attraverso la collaborazione fattiva di ciascuno».
Una dimensione sorretta da «otto secoli di storia», nota padre Luigi. «La festa comprende la città del 1200, quando i reatini accolsero chi veniva da Padova a chiedere la canonizzazione al papa; del 1400, quando si è strutturato il convento all’interno della città e i frati lavoravano con i laici, primo germe della Pia unione; poi del 1500, al momento della divisione delle famiglie francescane. Il Giugno Antoniano e la chiesa di San Francesco contengono la storia di ogni epoca. Una ricchezza che come Comunità di frati vogliamo riprendere al fianco degli altri nostri servizi: grazie al Giugno siamo definitivamente dentro la città».
Cappellani, ma non solo
Il ruolo dei tre frati, infatti, va oltre il ruolo di cappellani della Pia Unione. Sono stati chiamati dal vescovo ad occuparsi della chiesa di San Francesco in un senso più ampio, che vede nella presenza del sodalizio un arricchimento e un aiuto. Arrivando da fuori i religiosi temevano di doversi confrontare con un mondo chiuso, con qualcosa di un po’ idolatrico o di fanatico, con il santo che quasi sostituisce Gesù Cristo, con qualche equivoco di troppo attorno all’oro e così via. E invece nella Pia Unione hanno scoperto con gioia «una sincera devozione radicata nei secoli ed espressa con sentimento, affetto e preghiera verso il santo, che conduce a Dio».
«C’è grande coesione tra loro – racconta padre Antonio – non è un ambiente chiuso e settario, ma una associazione che vuole difendere la sana tradizione trasmessa dagli avi, dal nonno e dal papà. C’è la ricerca di una continuità, ma con apertura».
E l’esperienza diretta ha spaziato via anche un’altra preoccupazione dei frati, quella sui bilanci: «non ci sono cifre astronomiche, ma un giro economico molto semplice, nel quale quello che viene incamerato viene speso per la festa e il poco che avanza è la base per fare qualcosina in più, come la nicchia restaurata quest’anno».
Sant’Antonio dentro le case
Anche la processione ha sorpreso positivamente i frati della Comunità: «nonostante sia lunghissima è risultata molto composta. Ovviamente ci sono tanti aspetti che si possono migliorare: noi faremo il nostro, ad esempio, per aiutare a capire quale deve essere la giusta disposizione nell’uscita e cercheremo di fare in modo ce quando si prega la banda non si metta a suonare all’improvviso. Ma è sorprendente che una processione così grande sia insieme così composta, silenziosa, partecipata».
«Anche da chi rimane a casa», ha constatato padre Luigi: «all’hospice su dieci camere in nove hanno visto la processione grazie alla televisione e lo stesso mi hanno detto tante altre persone che non hanno potuto partecipare in strada: sant’Antonio entra dappertutto e il commento televisivo ha un potenziale pastorale che non va ignorato». Perché la processione offre davvero l’immagine di una Chiesa del popolo: «guidata dal vescovo contornato da sacerdoti, religiosi e fedeli».
Il rapporto tra le generazioni
Altro aspetto del Giugno Antoniano che ha impressionato i religiosi è stata la presenza dei giovani, che nella Chiesa vivono per lo più nei loro spazi. Attorno a sant’Antonio, invece «abbiamo registrato la pacifica convivenza delle generazioni. L’esperienza della benedizione dei bambini, in particolare, è straordinaria e commovente. È bello vedere il volto dei genitori mentre i figli alzano le braccia verso sant’Antonio, e i bambini fieri e contenti che i genitori stanno lì a farlo con loro. È il processo della famiglia e un progetto di tessitura tra le famiglie». Non a caso il tema di fondo di quest’anno è stato “Ho bisogno di te”: «il nipote ha bisogno del nonno, il nonno del bambini; il padre di entrambi. La tradizione religiosa si trasmette attraverso le cose semplici, come l’infiorata, anche se il bambino la prende come un gioco da grande la ricorderà di sicuro».