È disceso all’inferno

La storia di questo articolo di fede è molto complessa e articolata; ma è anche molto affascinante e ricca di implicazioni e sfumature

«Morì e fu sepolto, è disceso agli ìnferi, il terzo giorno risuscitò da morte». Dice così il Credo detto degli Apostoli, ma poco ci si fa caso a quella “discesa agli ìnferi”; al più si pensa che si tratti di un modo per dire che Gesù restò nel regno dei morti. È anche questo uno dei sensi che sono spiegati nel catechismo della Chiesa cattolica dal n° 632 in poi. Ma Gesù discese all’inferno per liberare i giusti che lo avevano preceduto. Non andò a liberare i dannati per i quali il giudizio è definitivo.

Così papa Benedetto XVI alcuni anni fa rispose in televisione il venerdì santo su questo punto: «Innanzitutto, questa discesa dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all’altro. È un viaggio dell’anima. Dobbiamo tener presente che l’anima di Gesù tocca sempre il Padre, è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati alla mèta della loro vita, e trascende così i continenti del passato.

Questa parola della discesa del Signore agli inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi».

Ma qual è la portata di questo articolo di fede per la nostra realtà. Forse sta proprio nel fatto che Gesù ha voluto dimostrare la sua totale “accondiscendenza” con l’uomo, la condivisione della sua caducità, in tutto, eccetto il peccato. Non va all’inferno come peccatore, s’intende, ma come Redentore che va a salvare tutti coloro che sono prigionieri del male, va a sconfiggere Satana, va a sconfiggere la morte.

Ma Egli salva anche quanti non hanno potuto conoscerlo. Cosa vi andò a fare, dunque, negli ìnferi? «Andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1Pt 3,19): «infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello Spirito» (1Pt 4,6).

Gesù è venuto a salvare tutta l’umanità perché «Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4). Quando si dice tutti non si intende solo i contemporanei di Cristo e noi che siamo venuti dopo, ma anche quelli che erano esistiti prima. Questi ultimi Gesù li ha cercati, trovati e salvati dove erano: negli inferi. «Disceso da solo agli inferi, Cristo ne è risalito con una moltitudine» (S. Ignazio di Antiochia).

La storia di questo articolo di fede è molto complessa e articolata; ma è anche molto affascinante e ricca di implicazioni e sfumature; addirittura sembra sia nata come formulazione del Credo ariano.

Essa in realtà vuole conciliare la sussistenza in Gesù di due nature, quella umana e quella divina.

Questa è la grande novità della Pasqua, che Gesù è risorto per salvare tutto ciò che è autenticamente umano e liberarlo dal peccato, perché diventi divino.

Purtroppo le grida degli uomini di trovare pace e giustizia, di ricreare le condizioni necessarie per il lavoro, per il benessere, per l’uguaglianza, per la concordia, sono destinate a non essere immediatamente realizzate poiché la natura umana è ancora sotto il dominio del male e del peccato, e l’uomo è chiamato, con la forza della grazia, ma anche con la sua determinazione e la sua scelta, ad optare per il bene e a costruire la città degli uomini anche ricorrendo a tutte quelle conoscenze e a tutte quelle discipline che lo possano aiutare in questo cammino.

Prima che nell’inferno delle anime Cristo è venuto in questo triste inferno del mondo, segnato dal sopruso e dalla cupidigia, per condividere con l’uomo la sua sofferenza, ma anche il suo anelito alla salvezza e alla libertà.