È la democrazia dell’audience

Si va configurando un nuovo modo di rapportarsi tra cittadini elettori e leadership. Che non ha bisogno necessariamente di essere formalizzato in cambiamenti costituzionali: si impone nei fatti. Oggi ci troviamo in un nuovo esperimento politico-istituzionale, impersonato appunto dalla leadership di Matteo Renzi.

Eccoci alla cosiddetta ripresa, dopo vacanze brevi e stentate, anche per il sistema politico. Cambiano alcuni elementi di scenario, ma al centro della scena si staglia sempre la figura del presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Accreditato di un consenso ragguardevole (per intenderci oltre quattro volte quello dello sciagurato Hollande in Francia), continua ad applicare due schemi fino ad ora vincenti. Il primo è porsi dentro, ma contemporaneamente fuori il sistema e il palazzo: Renzi peraltro formalmente non appartiene al Parlamento (ed è solo la seconda volta nella storia della Repubblica che capita ad un presidente del consiglio), anche se è un politico puro. Il secondo è accettare qualunque sfida, su qualunque terreno, e immediatamente rilanciare, stressando, come si dice con un’espressione gergale, il sistema.

Sono due schemi molto semplici, che certamente richiedono molta energia, una presenza soprattutto mediatica costante, fortissima determinazione nel puntare gli obiettivi ed una rapida capacità di reazione.

E’ presto per dire se siamo di fronte ad un passaggio congiunturale o strutturale. Molto è legato alla contingenza politica e a quella che un illustre conterraneo di Renzi, Machiavelli, chiamava la “fortuna”. Certo, ridotto di fatto momentaneamente al silenzio Grillo, e saldato un patto con Berlusconi, il sistema sembra blindato e Renzi giocare un “one-man show”.

Sistema che peraltro risulta coerente con alcuni dati che cominciano ad evidenziarsi nei sondaggi e nella percezione collettiva, per cui una parte ormai maggioritaria dell’elettorato non si riconosce più stabilmente in partiti e programmi, e circa un terzo degli elettori decide all’ultimo momento per chi votare.

E’ la cosiddetta “democrazia dell’audience”, che solo per un riflesso provinciale noi siamo abituati ad attribuire a Berlusconi, ma che è un dato strutturale e configura un nuovo modo di rapportarsi tra cittadini elettori e leadership.

E proprio per questo non ha bisogno necessariamente di essere formalizzata in cambiamenti costituzionali: si impone nei fatti. E tende ad essere nello stesso tempo – e dunque in singolare contraddizione – unanimistica e bipolare, all’americana insomma, per usare una semplificazione un po’ banale. Comporta infatti una larga concessione di fiducia, ma anche cicli di alternanza per disillusione piuttosto serrati. L’Italia (a differenza della Germania) si è rapidamente adeguata a questo sistema, lungo la cosiddetta “seconda repubblica”. Consumatasi la quale oggi ci troviamo in un nuovo esperimento politico-istituzionale, impersonato appunto dalla leadership di Matteo Renzi.

Fin qui il quadro, quello del sistema politico. Però la cornice, cioè il contesto di riferimento, che poi è la crisi, una crisi persistente e cattiva, non è per nulla indifferente. Anche la “democrazia dell’audience” si giudica dai risultati e non può prescindere dai fatti. Senza sconti.