Tra i temi affrontati nella due giorni di “ConfrontiamoCI”, iniziativa di rilievo nazionale sul tema dei richiedenti asilo e rifugiati e la gestione dei progetti Sprar organizzata dalla Caritas diocesana di Rieti in collaborazione con il Comune, in corso all’Auditorium Varrone, è tornato più volte sotto la lente quello del “Regolamento di Dublino”.
«Sicuramente è un nodo centrale della politica europea. Fissa lo Stato competente a valutare la domanda di asilo nello Stato del primo arrivo: per l’Italia sicuramente questo fa sì che ci siano molti più richiedenti asilo di quanti ce ne sarebbero senza il regolamento. In più il regolamento di Dublino non solo determina lo Stato competente all’esame, ma anche lo Stato in cui chi ottiene l’asilo deve soggiornare».
A spiegare il meccanismo è stata Chiara Favilli, Professore associato del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli studi di Firenze, che ha aggiunto: «Questo crea un problema enorme perché spesso le persone che arrivano in Italia non hanno l’intenzione di soggiornare in Italia. Magari guardano ad una rete di parenti ed amici che può facilitare la loro integrazione in un altro Paese dell’Unione Europea. Questa possibilità di trasferirsi in un altro Paese il regolamento di Dublino tende ad evitarla, ma è un po’ come una diga che cerca di trattenere un fiume in piena e non ce la fa. Il problema grosso è che questo strumento già teoricamente contestabile anche praticamente è inefficace, perché il flusso in realtà avviene: non ci sono i controlli alle frontiere interne tra gli Stati membri e quindi le persone si recano dove vogliono».
Come potrebbe essere modificata questa convenzione?
In tanti modi. Ad esempio applicando le regole già presenti nel Regolamento di Dublino con maggiore flessibilità. Quando Stati come la Svezia, la Francia, l’Olanda vedono arrivare persone che dovevano invece essere esaminate in Italia, potrebbero comunque accoglierle applicando in maniera più estensiva il criterio del legame familiare. In generale il trattato potrebbe essere modificato per attenuare questa rigidità del criterio dello Stato di primo arrivo come Stato competente. Ma forse, la cosa più importante che potrebbe essere modificata in modo radicale non riguarda tanto il Regolamento di Dublino, quanto le sue conseguenze. Si tratta cioè di consentire a chi ottiene lo status di rifugiato di andare a soggiornare nello Stato membro che preferisce.
Al momento l’Unione Europea le sembra disposta a dare seguito a questa esigenza di cambiamento?
Direi di no. Un tentativo adesso si inizia ad intravedere: è stata approvata l’Agenda europea per l’immigrazione lo scorso 13 maggio dalla Commissione Europea. È un documento complesso, contiene tante misure che dovrebbero essere adottate, e vedremo se si riuscirà davvero a tradurle in fatti concreti. La misura più forte che l’Agenda sembra voler fare adottare ai governi è quella di avere delle quote tra gli Stati membri. Sono già state individuate delle ipotesi di percentuali di persone da accogliere per ogni Stato, con una conseguente redistribuzione. Ma il rischio di una misura di questo tipo è che sia troppo complicata a realizzarsi. Prendere ad esempio delle persone dall’Italia e portarle nella Repubblica Ceca, in Lettonia o in Polonia contro la loro volontà è tutt’altro che semplice. Non stiamo parlando di trasferimento di merci: le persone non si impacchettano e spediscono. Queste persone hanno una pluralità di esigenze e il desiderio di avere una vera possibilità di alternativa di vita. Ma dobbiamo comunque vedere positivamente questi tentativi da parte dell’Unione, in ogni caso è segno che si sta pensando a qualcosa di diverso a quello che abbiamo avuto finora, si sta capendo che occorre cambiare l’approccio al problema, anche perché quanto visto finora è stato fallimentare.