Una città a marchio Coop?

È stato molto convincente l’intervento di Giorgio Raggi venerdì scorso alla Sala dei Cordari. E non poteva essere diversamente: aveva ottime carte da giocare. Ha detto di voler rovesciare una valanga di soldi sulla città e di voler creare posti di lavoro. E una volta preparato il tavolo verde, il presidente del Consiglio di Sorveglianza di Coop Centro Italia ha calato l’asso, più astratto, ma decisivo, del progresso: la cooperativa di consumatori vuole far uscire Rieti da una certa arretratezza e dal suo atavico isolamento.

Per portare acqua al proprio mulino, il presidente Raggi ha condotto la campagna di persuasione su un numero ristretto di questioni impostate a dovere. Uno spettacolo rispetto al quale i cittadini – con l’illusione della partecipazione – sembrano essere chiamati a svolgere un ruolo sostanzialmente passivo.

Si vuol far passare la raccolta di firme per una delibera di iniziativa popolare come un grande momento di democrazia. Pare quasi che la Coop voglia recuperare l’area ex industriale in nome e per mano del popolo! Possiamo pure crederci, ma l’operazione ha comunque uno strano retrogusto. Rassomiglia ad una manipolazione del dibattito pubblico realizzata da professionisti del marketing.

Sviluppo e modernizzazione, in fondo, sono argomenti vuoti, perfetti per una campagna pubblicitaria. Ci si possono costruire sogni bellissimi. Occorrerebbe però capire quale sviluppo e quale modernizzazione può avere in mente una catena di supermercati. Davvero il suo scopo è quello di mettere fine al mai tramontato medioevo reatino?

Tutto è possibile. L’azienda si richiama pure ad un solido codice etico. Ma al giorno d’oggi ogni corporation ne ha uno, e il nostro buon senso ci spinge a dubitare. Dopo tutto, la politica della cooperativa di consumatori non può che ricalcare quella di tutte le altre catene della grande distribuzione. Non contano solo gli utili: c’è in ballo anche la concentrazione e il controllo di un bel po’ di fattori.

Un accenno l’abbiamo ascoltato dallo stesso Raggi: cercherà un rapporto privilegiato con il comparto agroalimentare locale. Bene, ma non sarà che Coop sta cercando di conquistare la capacità di determinare il prezzo di acquisto e di vendita delle nostre produzioni? Il potere di stabilire certi margini di profitto giustificherebbe ampiamente la spesa di 60 milioni.

Non siamo contrari agli investimenti, intendiamoci, vorremmo solo vederci chiaro, capire a chi convenga. Prendiamo il caso del piccolo commercio. Con la forza gravitazionale di 10.000 metri di area vendita, è facile prevedere che la grande distribuzione riuscirà a mettere sotto il proprio cappello buona parte dei commercianti di Rieti. Svuotata la città (sarà inevitabile: si è mai visto un centro commerciale rilanciare un centro storico?), la Coop incasserà la decima attraverso gli affitti. Raggi ha spiegato che all’inizio saranno bassi, quasi regalati. Ma quando quell’area sarà praticamente l’unico polo commerciale della città, quanto costerà starci dentro? E in quanti altri modi potranno essere condizionati gli esercenti?

Si dirà che di Coop possiamo fidarci. “La Coop sei tu” ci ha ripetuto per anni la televisione. Una campagna talmente efficace da fare della cooperativa di consumatori un gigante. 19.000 soci solo a Rieti e 500.000 nel centro Italia, ha ricordato Raggi. Sono numeri da partito di massa. «Non permetteremo a nessuno, destra, centro o sinistra, di cavalcare la nostra iniziativa» ha detto infatti il presidente del Consiglio di Sorveglianza. Ci mancherebbe: con tutti quei tesserati, Coop può certamente fare da sé! Saremo mica di fronte ad un altro partito-azienda?

Ormai l’abbiamo imparato: contro questo genere di forze, la politica di oggi riesce ad assumere solo un ruolo subalterno. Ed infatti il Sindaco e la Giunta si sono lasciati incastrare nel gioco del “prendere o lasciare”, mentre l’opposizione assiste con il cappello in mano. Di fronte alla Coop che punta alla conquista di una probabile posizione dominante, chi c’è a porre paletti e a negoziare un’adeguata contropartita? L’Urban Center sembra un po’ poco: un piano pluriennale di investimenti su tutta la città sarebbe un’alternativa senz’altro più ragionevole.

E siccome gli amministratori non sembrano saperci fare, potremmo affidare la trattativa agli ex lavoratori della Coop ‘76. Almeno loro sono del ramo e di certi problemi se ne intendono. E poi, con la brutta esperienza che hanno fatto, sembrano essere abbastanza corretti, piuttosto determinati e assai poco disposti a farsi prendere in giro.