Chi picchierebbe un angelo?

Su questa rubrica l’argomento è già stato toccato ma è così importante e attuale che crediamo sia giusto rifletterci ancora una volta. Il 25 novembre scorso era la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, e da qui vorremmo partire per dire la nostra su un dibattito che non deve lasciarci indifferenti.

Per iniziare facciamo autocritica. Il prestare attenzione ad un fenomeno solo nel giorno in cui “istituzionalmente” si celebra pare stia diventando consuetudine, anche sulla scia dell’avvento dei social network che spesso fungono da promemoria in questo senso. La giornata mondiale contro la violenza sulle donne non fa eccezione.

Senza ipocrisia e falsi buonismi ancora ad oggi nonostante le tante battaglie, le tante parole, manifestazioni, celebrazioni a favore della figura femminile e del rispetto che essa merita, pare che in Italia più che in altri paesi la percezione che della donna si ha, sia ancora legata a lontani e sterili stereotipi.

A questo proposito proviamo a ribaltare uno degli stereotipi più diffusi e pericolosi, com’è quello della donna “angelo del focolare”, e per farlo partiamo da uno spunto poetico. Alle origini della letteratura italiana, in particolare nel periodo caratterizzato dal così detto “dolce stilnovo”, era diffusa la figura della donna-angelo definita dalle virtù morali e dalla bellezza inesprimibile.

Per i poeti l’amata era fonte di ispirazione e nobilitazione, per cui l’amore consisteva in una pura avventura spirituale, quasi con celestiale distacco. Cosa centra tutto ciò con il femminicidio? Tenendo fermo il rispetto altissimo presente in quella poetica ma attualizzandone i temi, magari portandoli sul piano della quotidianità e della fisicità, si otterrebbe una nuova chiave di interpretazione per la figura femminile in generale.

Nessuno farebbe del male ad un angelo, e cosa c’è di più simile al mondo se non l’angelica realtà delle donne in carne ed ossa? Quindi distruggiamo la gabbia rappresentata dal focolare e teniamoci invece l’angelo per tutto il resto.

Vogliamo adesso indagare i tre punti di vista rilevanti per il fenomeno: i singoli uomini, le singole donne e la società nel suo complesso. E crediamo che per tutti e tre siano necessari maggiore coraggio e miglior cervello.

Ci vorrebbe il coraggio del singolo uomo di alzare il dialogo più che le mani, il coraggio della singola donna di alzare un telefono e denunciare più che alzare la propria soglia di tolleranza. Ci vorrebbe una società che nel suo complesso alzasse la voce e la luce nei suoi angoli più bui e vergognosi.

Occorrerebbe poi più cervello agli uomini per trovare argomenti efficaci anziché armi letali, più cervello anche per le donne per acquisire consapevolezza e fiducia contro silenzio e paura. Nella testa di tutti servirebbe più cervello per accettare la complessità dei rapporti senza ridurre le persone a ruoli preconfezionati, che spesso sono eredità di inutili pregiudizi millenari. Ci sono infatti società tradizionali che relegano le bambine in uno stato di totale oscurità, utilizzando la loro stessa incoscienza come una prigione.

Come insegnano al contrario profonde culture di ogni epoca, violenza e sofferenza nascono dall’ignoranza. Pensiamo alle filosofie orientali o a parte di quella occidentale, un concetto che si può sintetizzare nel famoso motto kantiano: Sapere aude!

In conclusione secondo noi per affrontare il problema bisogna non solo intervenire attraverso le leggi e i provvedimenti dello stato, ma soprattutto nella mente e nel cuore di tutti. Ripensando gli assunti che diamo per scontati e non fermarsi alla visione del mondo superficiale che ci viene offerta dai media, ma immedesimarsi nelle situazioni altrui prima di esprimere un giudizio. Possono sembrare ricette banali e generiche ma solo ripartendo dal buon senso ci accorgeremo dell’assurdità della condizione degradante in cui abbiamo finito per ritrovarci.

di Caterina D’Ippoliti e Samuele Paolucci

One thought on “Chi picchierebbe un angelo?”

  1. petrongari maria laura

    Sul problema della violenza sulle donne. Credo sia un problema dovuto alla delinquenzialità pura, a situazioni di degrado morale di persone lasciate ai margini di una attenzione ed educazione istituzionali della comunità civile organizzata.Credo che si tratti di fattori scatenanti dati dall’alcolismo, dalla droga e da abbandoni sociali . Spesso si legge nelle cronache di figli maschi che uccidono le madri malate, vecchie, invalide, che uccidono i figli piccoli, che malmenano le proprie donne come fossero oggetti di cui disporre liberamente. Ma vogliamo analizzare da quali vuoti assoluti nascono queste tragedie in danno delle donne e dei bambini? Qui c’è una organizzazione sociale che si disinteressa della morale, dell’etica, del bene comune e la politica è un mezzo , una strada, anche aimè per le donne in carriera, per accedere a posti di comando per raggiungere traguardi personali di benessere. La politica si dimentica di dare soluzione al problema anche con la prevenzione al di là di proclami di facciata e di qualche legge buona che spunta dal parlamento destinata a non essere applicata. E’ scomodo per chiunque occuparsi dei luoghi di tristezze, di solitudini, di disagio, che si trovano pure tra le mura domestiche di persone insospettabili della buona borghesia alle quali pare non manchi l’istruzione ed il necessario per vivere. La mancanza di rispetto per la donna nasce dalla mancanza di rispetto per l’altro e così chi è prepotente si scarica sull’elemento più indifeso che è la donna e che sono i bambini. Questi sono i due soggetti insieme ai vecchi malati in case in cui non si dispone di risorse private o pubbliche per curarli, addosso ai quali la violenza e la frustrazione degli adulti maschi si scatena. Credo che le istituzioni debbano inserire nella scuola già dalle elementari degli esperti di pedagogia per formare i maschi di domani. E riportare molte persone alle attività manuali dal momento che la nostra società ha divelto il rapporto delle persone con la natura.L’uomo non piega più il ferro, il legno, la terra ai propri bisogni ma piega l’umano vicino a lui. E se l’uomo è violento in sè, è viziato o vizioso o malato di mente, o solo, o trascurato, si sfoga contro la donna. Rieducare i maschi e seriamente a stare al loro posto nella società.Poi occorrerebbe educare tutte le donne sin da bambine ad avere cura e rispetto di sè , a non seguire modelli comportamentali di mercificazione del corpo proposti dai media e quindi a pretendere pari rispetto dagli altri. Formare educatrici , madri, maestri e maestre capaci di suscitare nell’animo dei bambini l’amore vero per l’altro che si esprime concretamente con il rispetto ed il soccorso.
    Maria Laura Petrongari

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