Campagna elettorale, un argomento che manca

Con le elezioni del 4 marzo alle porte, si sente di ragionare tecnologia e politica soprattutto in termini di influenza dei social network - e di riflesso delle fake news - sul consenso elettorale. Ma il rapporto tra rivoluzione digitale e democrazia è probabilmente più complesso. Ci sarebbe ad esempio da ragionare su quali implicazioni potrebbero avere la stampa 3D e la fabbricazione in casa degli oggetti, su cosa comporterà l’avanzata dell’«internet delle cose», sul potere che poche grandi aziende derivano dalla possibilità di manipolare i cosiddetti «big data». Il dibatito sembra lontano dalle possibilità dell’attuale campagna elettorale, anche se alcuni piccoli segnali sarebbero possibili

Chi si accosta ai mezzi di informazione in questi giorni trova giustamente in primo piano la politica. L’avvicinarsi del momento del voto genera attivismo nelle diverse forze in campo: in fatto di nomi detti e contraddetti, di alleanze, di programmi da proporre, affinare, far conoscere. Tutte cose con le quali la cronaca quotidiana va a nozze, alimentando a sua volta il dibattito e l’interesse nell’opinione pubblica.

Questa tornata elettorale, oltretutto, vede l’impegno di molte figure di primo piano del territorio. Persone che hanno speso molta parte della propria vita nell’impegno politico, o si trovano da tempo in prima linea nella vita civile, si sono schierate: chi per entrare nel Consiglio regionale, chi per essere eletto parlamentare. Si direbbe il segnale importante di un territorio che intende uscire dall’isolamento, che sta prendendo un po’ di coraggio e, nonostante la piccolezza, vuole provare a dire la propria.

Ciò nonostante, il clima del dibattito in città, come nel resto del paese, non è dei più caldi. L’appello contro l’astensione nel discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del resto, non era casuale: le consultazioni elettorali degli ultimi anni hanno fatto registrare una partecipazione al voto in continuo calo e i sondaggi annunciano che il prossimo 4 marzo le cose non cambieranno.
Per questo anche i vescovi italiani, nel comunicato finale dell’ultimo Consiglio permanente, si sono rivolti agli elettori affinché «superino senza esitazione ogni tentazione di astensionismo».

Il fenomeno è infatti preoccupante per il contesto italiano, una nazione che l’immaginario comune, confortato da anni di battaglie politiche e sociali, vorrebbe ancora politicamente attiva e coinvolta. E invece sembriamo come presi dal disincanto. In pochi hanno ancora fiducia nelle potenzialità delle istituzioni e ancor più dei partiti. Forse perché la loro effettiva capacità di cambiare le cose e incidere nella vita di tutti i giorni sembra piuttosto limitata. Non a caso, chi ha governato fatica a provare l’efficacia delle proprie riforme. A dispetto degli sforzi spesi per portarle a compimento, sembrano aver avuto un impatto limitato sulla società e l’economia.

A voler indagare le cause si potrebbe ipotizzare che il corpo elettorale avverta la battaglia tra i partiti come una faccenda di retroguardia, magari coltivando il sospetto che il vero potere si manifesti ormai in altre forme. E in effetti, pare che a muovere il mondo, oggi, siano più le tecnologie che le ideologie. Da questo punto di vista, la vicenda di Amazon nella nostra provincia sembra un caso di scuola. All’inaugurazione dello stabilimento erano presenti autorità di ogni genere, pronte a incassare il consenso che poteva derivare dall’invidiabile bisogno di forza lavoro della multinazionale. Pochi mesi dopo, le stesse autorevoli figure non possono che assistere attonite all’indifferenza del colosso di Seattle, alla sua capacità di fare il bello e il cattivo tempo sulle spalle dei lavoratori.

A voler forzare un po’ il ragionamento, si potrebbe dire che oggi, più del voto, conta il cellulare. In fondo questo piccolo oggetto di policarbonato, vetro e metallo è sempre con noi. Per tanti è l’ultima cosa guardata prima di addormentarsi e la prima presa in mano dopo il risveglio. Se la politica è mediazione, cosa dire di questo “mediatore universale”, che usiamo per incontrare persone, comunicare, divertici, orientarci, comprare e vendere? Ci affidiamo al cellulare per documentare i luoghi in cui andiamo, per organizzare le cose che facciamo e contiamo su di esso per riempire gli spazi vuoti, i silenzi, i momenti di pausa della nostra giornata.

Gli smartphone sembrano in grado di modificare la nostra vita quotidiana molto più velocemente e in modo più efficace di quanto non facciano gli iter parlamentari. A Rieti se ne ragionava la scorsa settimana con Aldo Cazzullo: l’innata ubiquità del telefonino ne fa un oggetto tutt’altro che banale, perché, accanto alle cose positive che fa per noi, traccia i nostri spostamenti, i nostri gusti, le nostre relazioni, in modo pervasivo, mettendo un ampio spaccato delle nostre vite in mano a Apple, Samsung, Amazon, Google e Facebook. Queste società, lontane e impenetrabili, gestiscono i nostri dati con capacità uguali o addirittura superiori a quelle degli stati, senza neppure l’ombra di un reale controllo da parte degli utenti.

E se pensiamo che il fatturato del settore digitale supera oggi di diversi miliardi di dollari quello dell’oro nero, protagonista politico e commerciale del secolo scorso, e che è stato il petrolio a determinare le guerre e le scelte geopolitiche degli ultimi trent’anni, sta forse diventando necessario interrogarsi su come l’industria dei dati influisca sugli equilibri internazionali.

La contesa elettorale non sembra però interessata a dibattere questi argomenti, preferendo concentrare l’attenzione su cose a prima vista più concrete: la sanità, la scuola, l’immigrazione. Difficile dire se questa mancanza di attenzione abbia un peso sulla scelta del “non voto”: in ogni caso queste faccende dovrebbero essere maggiormente presenti nel dibattito politico. Magari per il momento potremmo accontentarci di veder raccolta in campagna elettorale la delusione dei trecento lavoratori rimandati a casa da Amazon una volta superato il picco natalizio. A volte basta un piccolo passo per allargare la prospettiva.