Autodifese paracomportamentali

Nel precedente numero di «Frontiera» è apparsa una “stroncatura” in 46 righe da parte di un (finora) sconosciuto “critico” letterario (e speriamo si mostri fisicamente se non altro per lealtà civica, per smentire il titolo che premette alla sua firma: “Amb” da alcuni interpretato come “ambiguo”), “stroncatura” che si pone come una sorta di condensato non già di estetica letteraria, sia contenutistica che formale, ma gratuita e malamente espressa animosità non si sa se derivante da quei flussi, più mentali che grossolanamente fisiologici, che generalmente sono il sintomo di cattive digestioni esistenziali oppure da quella forma di autopresunzione che, illusoriamente, porta a farci credere ciò che non siamo.

Quarantasei righe che, non potendo essere collocate nello scaffale della critica letteraria, sembrano interessare assaipiù la sfera degli psicologi per il rapporto che potrebbe esserci tra la visione di sé e quello scivolamento verso l’informe grumo dell’invidia da sempre classificata come una sorta di espressione paravisibile e paracomportamentale di un complesso di inferiorità. Basta con questi intellettuali, dice “Amb” trasparentemente rivolgendosi all’autore del libro. Ma l’autore del libro non ritiene di essere un “intellettuale” ma soltanto appartenente ad una generazione che ha vissuto alcuni drammaticamente tragici processi che la Storia ha messo di traverso ai loro vent’anni e che ama ricordare quei processi, rendendoli noti, e le persone le quali ne sono state dimenticati attori. Una domanda al caro “Amb”: da dove proviene? Parafrasando Paul Klee («L’arte non mostra il visibile, ma lo rende visibile») penso che le 46 righe rendano ben visibile lo spessore culturale di “Amb”. Brutta cosa la rancorosità soprattutto se condita con la colorata passamanerìa dell’invidia.