L’Amoris laetitia ha aperto una stagione nuova per la pastorale familiare. “Questo documento – spiega don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia della Cei – suggerisce di andare oltre una stretta pastorale del vincolo, a favore di un atteggiamento di missione, di uscita, di prossimità verso ogni periferia esistenziale”. La risposta delle diocesi tra difficoltà e “nuovi germi che stanno nascendo”. Un appello alle istituzioni affinché sappiano “cogliere nell’amore familiare la linfa per il vivere sociale”
“Incontrandomi il Papa mi ha detto: ‘Adesso con l’Amoris laetitia hai tanto lavoro’. E io ho risposto: ‘Sì, però, è un bellissimo lavoro”. Lo scambio di battute tra Francesco e don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia della Cei, in apertura dell’ultima assemblea generale della Conferenza episcopale, fotografa con nitidezza il percorso in cui è impegnata tutta la Chiesa italiana. “In questi giorni – conferma don Gentili – sto girando moltissimo per le diocesi”. Quando lo raggiungiamo telefonicamente, è in Sicilia per un incontro con i diaconi permanenti sull’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia. Poi sarà a Corvara (Bolzano) per il Master in scienze del matrimonio e della famiglia e il Corso estivo di diploma in pastorale familiare, promossi tra gli altri dall’Ufficio famiglia della Cei. Gli impegni si susseguono. La posta in gioco è alta, spiega Gentili: “Ritrovare il profumo vero della famiglia. Pensiamo al pane, al suo sapore, quello genuino, quando non è confezionato nella plastica… Ecco, le nostre parrocchie devono tornare a emanare quel profumo vero di famiglia, di quotidianità”.
Don Gentili, l’Amoris laetitia richiede questo impegno. Concretamente cosa cambia per la pastorale familiare?
Siamo in una stagione completamente nuova! Sinteticamente si potrebbe dire che l’Esortazione post-sinodale suggerisce di andare oltre una stretta pastorale del vincolo, a favore di un atteggiamento di missione, di uscita, di prossimità verso ogni periferia esistenziale.
Va ricordato – e questo è molto importante – che Amoris laetitia è il frutto di un cammino di Chiesa, durato oltre due anni e che ha coinvolto, soprattutto attraverso i due questionari, le comunità ecclesiali, ma non solo… Alla consultazione hanno infatti partecipato molte famiglie che si sentivano ai margini. I padri sinodali ne hanno tenuto conto. E questo emerge anche dal documento, che nello stile di Papa Francesco, con il suo linguaggio fresco e concreto, si fa vicino alla vita familiare, alle gioie e alle fatiche. Come non tenerne conto nella progettazione pastorale?
Prendendo a prestito il titolo del documento, si potrebbe parlare di una pastorale chiamata a dare testimonianza della gioia dell’amore familiare?
Sì. La gioia è una dimensione molto legata all’amore: è difficile vivere la gioia se manca l’amore. L’amore sponsale, in particolare, è determinante per l’avvenire dell’umanità. Questo non significa, però, che tutto deve essere sempre perfetto. Osserviamo la quotidianità dei nostri rapporti: la gioia, molte volte, s’intesse con la trama del dolore, del sacrificio, dei limiti, delle fragilità… diventando un tutt’uno con queste dimensioni.
Occorre, allora, uno sguardo nuovo sulle famiglie.
Il sogno da realizzare è “una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità” (Amoris laetitia n.308). Una Chiesa, quindi, che si pone davanti alle fragilità con un atteggiamento totalmente nuovo, radicalmente evangelico, di accompagnamento, discernimento e integrazione.
“Accompagnare, discernere e integrare le fragilità”, come viene indicato nel capitolo 8 dell’Esortazione. Insomma, è questa la grande sfida?
È un approccio nuovo che deve tradursi in scelte concrete nelle nostre comunità. Si tratta di dare carne a quella “legge della gradualità”, già evocata da san Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio, ma che è ancora tutta da costruire.
La grande sfida consiste nel saper scorgere anche i germi di bene presenti nel cuore di ogni uomo.
Papa Francesco, visitando la città di Prato (127 etnie diverse), poco prima di aprire il Convegno di Firenze, sottolineava che “per un discepolo di Gesù nessun vicino può diventare lontano. Anzi non esistono lontani che siano troppo distanti, ma soltanto prossimi da raggiungere”. Capisco che non sia facile e che ci sia ancora qualche diffidenza. Ma è il momento storico a chiedere questo cambio di passo. Come vivere la prossimità con i conviventi, le coppie di fatto, e anche verso chi non pensa di costruire un vincolo? Sono tante e diverse le situazioni con cui confrontarsi quotidianamente. Per questo serve più preparazione negli operatori pastorali, che siano sacerdoti, coppie di sposi o diaconi. E serve anche un atteggiamento di maggiore accoglienza per annunciare il matrimonio come una grazia liberante e non come una gabbia, con una serie di obblighi e di precetti.
Non trova che questo cambio di passo sia chiesto anche alla politica?
Certo! La nostra sta diventando una società in cui molti giovani possono costruire famiglie solo grazie all’aiuto della piccola pensione conquistata dai propri nonni. È un dato che dovrebbe scuotere e suscitare nuove politiche familiari, cioè un vero riconoscimento della famiglia.
Credo che l’Amoris laetitia chieda alle istituzioni uno sguardo che sappia cogliere nell’amore familiare la linfa per il vivere sociale.
Dal suo particolare “osservatorio” può fare sintesi delle risposte all’Amoris laetitia nelle diocesi italiane? Cosa sta emergendo?
Chi ha un atteggiamento difensivo, che porta a non vedere l’Amoris laetitiacome un atto di Chiesa – perché di questo si tratta –, si sente in grossa difficoltà. Chi, invece, ha fatto propria questa riflessione sinodale, si sente dentro le pagine dell’Esortazione e cerca di tradurle nella quotidianità della propria realtà ecclesiale e della società in cui vive. Ricordiamoci sempre, però, che – come ripete Papa Francesco – la realtà supera l’idea.
La speranza, allora, è che i germi nuovi che stanno nascendo siano quel grano, che seppur tra un po’ di zizzania, faccia vivere una nuova epoca di Chiesa, più vicina alla gente. Una vera Chiesa di popolo.
Queste suggestioni rimandano a quel “nuovo umanesimo” al centro del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze. In particolare, pare esserci un richiamo costante alle cinque vie (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) su cui è tuttora impegnata la Chiesa italiana.
Le cinque vie di Firenze si applicano in maniera straordinaria alle pagine di questa Esortazione. Sono vie aperte dall’Evangelii gaudium che è la porta migliore attraverso cui accedere all’Amoris laetitia. Nella luce del Vangelouscire significa partorire la cultura dell’incontro, andando oltre ogni contrapposizione. Annunciare significa passare dalla dimensione domestica alla Chiesa formato-famiglia. Abitare invita a essere vicini alle case, cioè essere Chiesa tra le case degli uomini. E così educare implica curare la formazione integrale della persona, mentre trasfigurare significa rilanciare il quotidiano, con le sue imperfezioni, nella dimensione del “per sempre”.
Insomma, un impegno a 360° in grado di coprire tutte le stagioni dell’amore coniugale.
Proprio così. L’accompagnamento del matrimonio non è un fatto esclusivo della pastorale familiare.
Si è fatto un passo avanti nella Chiesa: la famiglia è diventata luogo unificante di tutta l’azione pastorale. Lì c’è per tutti una “fabbrica di speranza”.