Accorpamento delle province: necessità o ideologia?

Un consistente accorpamento delle province italiane è in arrivo. Quella di Rieti, pare, non farà eccezione. Si dice che il tutto serva a ridurre la spesa pubblica, a tagliare costi inutili.

Sono l’Europa, lo spread e i mercati a chiederlo. E in tanti se ne rallegrano. Sperano sia finita la pacchia per i parassiti del sistema pubblico: i politicanti, i soliti fortunati, i servi di partito. Si augurano di non dover più pagare sfaccendati che timbrano il cartellino e si fanno i fatti propri, incuranti dell’enorme pila di pratiche inevase.

Certa gente sta antipatica un po’ a tutti, e non saremo certo noi a difendere i fannulloni. Ma, chissà perché, non riusciamo a toglierci di mente l’idea che il provvedimento sia guidato da altre ragioni. Forse perché sui banchi del Governo siedono diversi campioni del «meno pubblico, più privato»?

Ci sbaglieremo, ma le province non ci sembrano davvero un problema. Finora le abbiamo mantenute e siamo sopravvissuti lo stesso. Non sarà piuttosto che per avere «meno pubblico e più privato» occorre proprio smantellare lo Stato?

Se così fosse, da qualche parte bisognerebbe pur cominciare. Le province sono sotto attacco da diverso tempo. La loro inutilità è predicata un po’ dappertutto. La televisione ci ha insegnato che nell’assetto istituzionale italiano sono il nervo scoperto, la parte debole. A voler pensar male si direbbe una opinione diffusa ad arte. Del resto, da anni e da più parti, si insiste per avere apparati snelli, costruiti su modelli aziendali più che burocratici, su criteri di efficienza più che di solidarietà, sul management più che sul servizio al cittadino.

C’è una forte consonanza tra l’accorpamento delle province, la svendita del patrimonio immobiliare pubblico e l’inamovibile volontà degli ultimi governi di privatizzare i servizi. Sono operazioni proposte sotto il profilo economico, mentre puntano ad un risultato politico. Cosa rimane dello Stato una volta tolti gli apparati, le proprietà e i servizi? Ad ogni strumento di rappresentanza perso, ad ogni servizio esternalizzato, ad ogni azienda pubblica privatizzata, corrisponde una sottrazione di democrazia, di controllo popolare, di libero confronto tra le parti.

Razionalizzare la spesa della macchina dello Stato è una buona cosa. Peraltro indispensabile da quando la Nazione, per andare avanti, deve farsi prestare i soldi dalle banche invece di stamparli da sé. Ma mandare a casa i fannulloni è una cosa, smantellare le istituzioni un’altra. Meglio non fare confusione. Anche perché occorre evitare che la demolizione degli enti intermedi faciliti la privatizzazione di buona parte della nostra vita quotidiana.

Il Governo si propone di fare province più grandi dopo aver consistentemente tagliato loro le risorse con la spending review. Tradotto alla buona vuol dire che dovranno badare al doppio del territorio con la metà dei fondi. Pare quasi che Monti e soci vogliano spianare per bene la strada che porta gli enti pubblici a privatizzare le loro funzioni.

Investitori pronti a “dare una mano” al Paese alleggerendolo di certi costi non mancano di sicuro. Il business del secolo sono i rifiuti, gli acquedotti, l’energia, i trasporti locali eccetera. Tutti servizi a “domanda prigioniera”, dei quali cioè i cittadini non possono fare a meno. Per chi ha capitali, l’affanno degli enti pubblici è la gallina dalle uova d’oro. Non avendo alternative i cittadini sono costretti a mettersi le mani in tasca e pagare. Facile ottenere utili da capogiro e un potere praticamente senza controllo.

L’impresa privata sarà pure efficiente, ed è vero che in molti settori la Provincia di Rieti poteva dare contributi decisamente più incisivi. Ma pensiamoci bene prima di accettare con entusiasmo il suo accorpamento ad altre realtà. Tanto più un ente diviene grande e si allontana, tanto meno i cittadini riescono a controllarlo.

Non sarà che per il piacere di fare un po’ di pulizia stiamo gettando il bambino insieme all’acqua sporca? A forza di desiderare enti pubblici efficienti come aziende, potremmo ritrovarci un consiglio di amministrazione al posto del Consiglio provinciale. Andrà pure bene, ma per favore, non chiamiamola democrazia.

3 thoughts on “Accorpamento delle province: necessità o ideologia?”

  1. Paolo

    Accorparsi con Terni per non far sparire la Provincina di Terni è solo un trucco giuridico. Il Governo vuole risparmiare tagliando il 50% delle province, cioè quello sotto ai 350.000 abitanti. Se tutte le circa 50 provincie in fase di abolizione si accrpassero tra di loro si crerebbe un taglio di solo 25 province nel complesso: un trucco che di certo non aiuterebbe il risparmio di spesa.
    La verità è che andrebbero abolite tutte le Province e non solo alcune. Andrebbero abolite tutte le comunità Montane e la maggior parte delle SPA dei comuni e delle Province, Andrebbe ridotto del 30% il personale amministrativo delle ASL, il 60% del personale amministrativo dei Comuni e degli altri enti locali, andrebbe abolita la Regione Molise.

  2. Giov70

    Fabio Melilli ha attaccato il Governo Monti ed è andato anche contro Pierluigi Bersani. Ma se fosse stato in parlamento (ricordiamo che Mellilli sarà eletto deputato nel 2013), avrebbe votato zitto e muto l’abolizione della Provincia di Rieti.

  3. Ricardo Klement

    Un consiglio formato da PRefetto, rappresentante della Regione e tutti i Sindaci eserciterebbe a basso costo funzioni di snodo autenticamente federaliste e resterebbe quasi interamente eletto dai cittadini, senza spostare un solo centimetro di confine.

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