65. “Evangelium Vitae”. Costruire una nuova cultura

Educatori, sposi, intellettuali, donne, operatori dei mass-media, nessun è escluso nella costruzione di una cultura che privilegi l’essere sull’avere, l’accoglienza sul rifiuto.

Il tema dell’educazione è, da sempre, particolarmente sentito dalla Chiesa e, ancor più in questi anni, è fonte di importanti iniziative ecclesiali, tanto da farne il centro delle riflessioni pastorali del prossimo decennio. Nella “Evangelium Vitae”, l’ormai beato Papa Giovanni Paolo II, affronta a più riprese il rapporto tra questioni educative e temi bioetici, esaltando il ruolo degli educatori, in particolare degli sposi, nel confronto con problematiche che investono la quotidianità dell’esistenza e che rimandano al senso del rispetto della vita nelle diverse fasi e momenti dell’esistenza umana.

Educare implica una maturazione interiore che conduce prima di tutto al rispetto dell’altro come portatore di uno specifico progetto di vita che va scoperto e compreso, sostenuto e attuato. In questa direzione l’educatore deve tener conto della persona intesa nella sua globalità, senza mortificare nessuna delle sue dimensioni ma, al contrario, fornendo strumenti di conoscenza e comprensione di sé che aiutino l’individuo a maturare chiavi di lettura e interpretative della propria esistenza. Non si può essere educatori se però non si percorre, con onestà intellettualità e disponibilità personale a crescere personalmente, umanamente e spiritualmente, un percorso formativo adatto alla propria condizione di vita, soprattutto se la vita stessa ci chiama ad un confronto con problematiche etiche di grande rilievo come quelle relative alla procreazione, all’eutanasia, allo sviluppo degli embrioni, allo sfruttamento delle risorse del pianeta e via dicendo.

A tal proposto l’Enciclica interroga e provoca diverse categorie umane e sociali: gli sposi, le donne, gli intellettuali, gli operatori sanitari, coloro che sono impegnati nel sociale e nel politico, tutti i credenti. Agli sposi dice: «(…) L’opera di educazione alla vita comporta la formazione dei coniugi alla procreazione responsabile. Questa, nel suo vero significato, esige che gli sposi siano docili alla chiamata del Signore e agiscano come fedeli interpreti del suo disegno: ciò avviene con l’aprire generosamente la famiglia a nuove vite, e comunque rimanendo in atteggiamento di apertura e di servizio alla vita anche quando, per seri motivi e nel rispetto della legge morale, i coniugi scelgono di evitare temporaneamente o a tempo indeterminato una nuova nascita. (…) Proprio tale rispetto rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, il ricorso ai metodi naturali di regolazione della fertilità: essi vengono sempre meglio precisati dal punto di vista scientifico e offrono possibilità concrete per scelte in armonia con i valori morali. Una onesta considerazione dei risultati raggiunti dovrebbe far cadere pregiudizi ancora troppo diffusi e convincere i coniugi nonché gli operatori sanitari e sociali circa l’importanza di un’adeguata formazione al riguardo» (n. 97).

Il Papa si spinge oltre, parlando del dolore e della morte che non possono e non devono essere rimosse o censurate perché sono parte integrante della vita e occorre quindi guardare a queste due evenienze ricercandone il senso, il profondo mistero che l’uomo è chiamato a comprendere: «(…) Anche il dolore e la sofferenza hanno un senso e un valore, quando sono vissuti in stretta connessione con l’amore ricevuto e donato. (…) Del resto perfino la morte è tutt’altro che un’avventura senza speranza: è la porta dell’esistenza che si spalanca sull’eternità e, per quanti la vivono in Cristo, è esperienza di partecipazione al suo mistero di morte e risurrezione» (n. 97).

Tutto converge verso l’essenziale messaggio dell’Enciclica, occorre una svolta culturale, un cambiamento nello stile di vita dell’intera umanità a partire da ognuno. Tutti sono importanti, responsabili e coinvolti per favorire un processo che inesorabilmente fissa lo sguardo della coscienza morale di ogni uomo verso un orizzonte di vita che non può costruirsi in modo diverso e che è essenzialmente l’unica strada percorribile per la salvezza dell’umanità stessa. Tutti sono coinvolti e i “paletti” di riferimento sono ribaditi con semplicità e chiarezza: «(…) la giusta scala dei valori: il primato dell’essere sull’avere, della persona sulle cose. (…) il passaggio dall’indifferenza all’interessamento per l’altro e dal rifiuto alla sua accoglienza» (n. 98).

Gli intellettuali sono invitati dal Papa ad elaborare proposte serie e documentate di iniziative relative alla promozione e difesa della vita. Alle donne, a cui il Papa rivolge l’invito di testimoniare il senso vero della vita e di riconciliare gli uomini con la vita stessa, chiede anche «(…) di farsi promotrici di un “nuovo femminismo” che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli “maschilisti”, sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento» (n. 99). Il difficile compito di coniugare libertà di informazione, rispetto per ogni persona e un profondo senso di umanità è invece affidato e richiesto agli operatori dei mass-media. Essi, afferma il Pontefice, sono chiamati «(…) ad adoperarsi perché i messaggi trasmessi con tanta efficacia contribuiscano alla cultura della vita. Devono allora presentare esempi alti e nobili di vita e dare spazio alle testimonianze positive e talvolta eroiche di amore all’uomo» (n. 100).