55. “Evangelium Vitae”. Individualismo, edonismo e utilitarismo: il materialismo pratico a cui conduce il disprezzo della conoscenza di Dio

L’uomo, in ogni tempo, ha sempre cercato certezze e consolazioni in grado di aiutarlo nelle dure prove della vita, nel confrontarsi con il mistero dell’esistenza, certezze tali da renderlo forte di fronte al dolore e alle sofferenze più acute. Spesso egli si è affidato e continua ad affidarsi alle consolazioni di carattere materiale, dimenticando l’unica certa fonte di serenità e verità, Dio stesso.

Ecco il tema che approfondiremo nel presente articolo ripercorrendo alcune delle importanti sollecitazioni che Papa Giovanni Paolo II propone nell’Enciclica “Evangelium Vitae”. Il Papa a questo proposito è subito lapidario: «L’eclissi del senso di Dio e dell’uomo conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano l’individualismo, l’utilitarismo e l’edonismo» (n. 23).

Denominatore comune ai tre aspetti appena sopra citati è la ricerca del piacere e del benessere materiale come unico criterio al quale riferirsi nelle scelte personali e comunitarie. A partire da questa impostazione sono spazzate via le dimensioni più profonde dell’esistenza, quelle legate alla relazionalità, alla spiritualità e alla religiosità.

La qualità della vita viene tradotta quasi esclusivamente in termini di efficienza economica, di bellezza e godibilità della vita fisica. È il consumismo sfrenato il nuovo altare a cui deporre le nostre offerte, in cui anche il “prossimo” non è più un uomo, ma uno strumento utile al raggiungimento di utili personali. In un contesto animato da tali principi, parlare di sofferenza, di rispetto del dolore e della vita è indubbiamente fuori da ogni coerenza.

È più facile la censura, la svalorizzazione dell’esperienza dolorosa, etichettata come male da combattere e evitare sempre e comunque. La sofferenza purtroppo è intrinseca alla vita umana, ma è anche fonte e via di crescita e maturazione. Soffrire è l’altra faccia della medaglia chiamata “sviluppo” ma crescere significa anche essere critici e ciò non può essere tollerato a chi considera l’uomo un consumatore piuttosto che figlio di Dio. La vita non può perdere di significato solo perché svanisce la possibilità di godere di un futuro senza problemi, perché il futuro comunque riserva delle sorprese e delle domande a cui rispondere.

Non si può evitare il confronto con la sofferenza preferendo la sua soppressione piuttosto che viverla e scoprirne il significato. Guardando il mondo con gli occhi rivolti solo ad un orizzonte materiale, cambia l’intero sistema valoriale nel quale l’uomo si muove. Il corpo stesso, tempio dello Spirito santo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio «(…) è ridotto a pura materialità: è semplice complesso di organi, funzioni ed energie da usare secondo criteri di mera godibilità ed efficienza. Conseguentemente, anche la sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell’amore, ossia del dono di sé e dell’accoglienza dell’altro secondo l’intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti» (n. 23).

Che valore dare quindi alla procreazione in tale prospettiva? In alcuni casi è il nemico da evitare, oppure, al contrario, è il traguardo da inseguire ad ogni costo con qualsiasi mezzo. Dove finisce l’accoglienza dell’altro? L’accettazione della ricchezza di cui un figlio è portatore? Le relazioni interpersonali conoscono così un grave impoverimento e i primi a subirne i danni sono le donne e i bambini, i malati e gli anziani. Il criterio della gratuità viene sostituito con quello dell’efficienza, quello del rispetto con quello dell’utilità: «(…) l’altro è apprezzato non per quello che “è”, ma per quello che “ha, fa e rende”» (n. 23).

La partita si gioca sia nella coscienza morale personale che in quella della società, quest’ultima è «(…) in qualche modo responsabile non solo perché tollera o favorisce comportamenti contrari alla vita, ma anche perché alimenta la “cultura della morte”, giungendo a creare e a consolidare vere e proprie “strutture di peccato” contro la vita» (n. 24). La confusione tra bene e male oggi è più evidente che mai a causa dell’uso dei mezzi di comunicazione sociale che, se usati ad arte, influenzano in modo determinante lo sviluppo delle opinioni e degli atteggiamenti. Papa Giovanni Paolo II ricorda le parole di S. Paolo a proposito dell’uso e abuso di posizioni dominanti: l’attuale società è fatta di «(…) uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia» avendo rinnegato Dio e credendo di poter costruire la città terrena senza di lui, “hanno vaneggiato nei loro ragionamenti” sicché “si è ottenebrata la loro mente ottusa”; “mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti”. Quando la coscienza, questo luminoso occhio dell’anima (cf. Mt 6, 22-23), chiama “bene il male e male il bene” (Is 5, 20), è ormai sulla strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale» (n. 24).

La speranza: tutti gli sforzi per ridurre o imporre al silenzio la voce del Signore non hanno mai trovato un vero e pieno successo perché la voce di Dio abita nella coscienza dell’uomo, è ad essa connaturale, sopprimere il suo riferimento al Signore, significa sopprime l’uomo stesso. Dalla coscienza umana, può quindi sempre «(…) ripartire un nuovo cammino di amore, di accoglienza e di servizio alla vita umana» (n. 24).