54. “Evangelium Vitae”. L’eclissi del senso di Dio conduce allo smarrimento del senso dell’uomo

I temi che il documento tocca sono davvero molti ma forse è proprio nella sezione che stiamo trattando, che si possono cogliere gli elementi concettuali e le posizioni teologiche e morali a cui si può ricondurre tutta la riflessione sulla vita umana che papa Giovanni Paolo II offre alla comunità cristiana e al mondo intero. La secolarizzazione è un fenomeno sul quale sono stati scritti fiumi di parole e non ha interessato solo l’ambito teologico–pastorale ma anche quello sociologico e politico.

Eppure vale la pena soffermarsi ancora una volta su questo aspetto, guardando ad una prospettiva delicata e preoccupante perché è una realtà, la secolarizzazione, che conduce a un traguardo drammatico. Il Papa sottolinea infatti che «(…) Chi si lascia contagiare da questa atmosfera, entra facilmente nel vortice di un terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell’uomo, della sua dignità e della sua vita; a sua volta, la sistematica violazione della legge morale, specie nella grave materia del rispetto della vita umana e della sua dignità, produce una sorta di progressivo oscuramento della capacità di percepire la presenza vivificante e salvante di Dio» (n. 21).

Il passo successivo avviene su un piano scivoloso, viscido, dove si perdono appigli e punti di riferimento, un passo quasi automatico a cui difficilmente ci si può sottrarre. È il passo di una civiltà che perde la capacità di confrontarsi con il senso del mistero, con la provocatoria dimensione del trascendente e quella impegnativa della metafisica. Una perdita grave, quella riferita ad un aspetto proprio della natura umana che permette all’uomo stesso di percepirsi, comprendersi e autocomprendersi come realtà “altra” da quella strettamente naturale. Come cogliere la differenza tra l’uomo «… poco meno degli angeli» e le altre creature terrene «… a servizio dell’uomo»?

Perdere il senso di Dio significa perdere quello dell’uomo perché svaniscono i rapporti che qualificano la differenza tra l’uomo e le altre creature. Rapporti ridotti e ricompresi solo su una dimensione quantitativa e non più riferiti alla dimensione antropologico – esistenziale della creatura uomo. Così il Papa: «(…) egli si considera come uno dei tanti esseri viventi, come un organismo che, tutt’al più, ha raggiunto uno stadio molto elevato di perfezione. Chiuso nel ristretto orizzonte della sua fisicità, si riduce in qualche modo a “una cosa” e non coglie più il carattere “trascendente” del suo “esistere come uomo”». (n. 22).

La stessa vita non è più accolta come dono ma come espressione di un fatto casuale, non è più “sacra”, tanto meno inviolabile, essa diventa «(…) semplicemente “una cosa”, che egli rivendica come sua esclusiva proprietà, totalmente dominabile e manipolabile» (n. 22). In una simile condizione, priva di riferimenti alla verità su Dio e su se stesso, l’uomo non può che valorizzare e preoccuparsi di un unico aspetto: il fare che offusca l’essere. La grande attrattiva che la tecnologia dimostra sull’animo umano deve farci riflettere. Essa, come ogni altro aspetto della vita umana, ha senso e si qualifica solo se non perde il significato che gli è proprio in una prospettiva di amore verso l’unico vero Dio e il prossimo: la tecnologia deve essere a servizio dell’uomo, non invece guardata come una sorta di nuova “fede” a cui l’uomo deve tendere. L’uomo in tal modo è tutto impegnato a programmare, controllare, dominare strutture e processi, in realtà è un potere illusorio perché dimentica l’unico vero potere: il rispetto della vita e della morte.

Vita e morte non possono essere possedute o rifiutate, vanno vissute per quello che sono perché non possono essere messe sullo stesso piano di ciò che l’uomo invece illusoriamente crede di controllare. In tal modo l’uomo rimane controllato da ciò che crede di controllare, la natura non è più “madre” ma cosa da poter manipolare, «(…) vivendo “come se Dio non esistesse”, l’uomo smarrisce non solo il mistero di Dio, ma anche quello del mondo e il mistero del suo stesso essere» (n. 23), egli quindi riduce se stesso a cosa, a realtà materiale, svalutandosi e accontentandosi di un’illusione di onnipotenza che fagocita e squalifica la sua esistenza.