40. Giovanni Paolo II nella Centesimus annus a proposito del rapporto tra paesi ricchi e poveri del mondo

«(…) perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un’eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed il rispetto della gerarchia dei veri valori dell’umana esistenza».

In questi giorni un’interessante proposta del presidente francese Sarkozy sta animando dibattiti a livello politico, economico e morale. Si tratta di applicare una minima tassa a tutte le transazioni finanziarie il cui ricavato potrà essere devoluto ai paesi poveri in modo da fornire concretamente e costantemente un aiuto alle loro deboli economie. Semplicissimo l’intervento, difficilissimi gli ostacoli da superare. La questione non è evidentemente “economica”, ma politica: non sarà che in questo modo aiuteremmo davvero i poveri del mondo e chissà allora quali nuovi equilibri mondiali si verrebbero a creare tra qualche decennio … meglio tenerli sotto controllo con una geniale carità ipocrita che continua a dare aiuti senza fornire forza progettuale e breve e lungo termine. L’autonomia è un sorta di “vanità” che i poveri non devono e non possono permettersi perché farisei ipocriti simili a sepolcri imbiancati mettono sulle spalle dei paesi del terzo e quarto mondo pesi che loro non osano sollevare neanche con un dito. Pur rendendoci conto che la parafrasi è singolare, ci sembra utile rimarcare l’atteggiamento farisaico dei governanti dei popoli ricchi alla luce del magistero della Chiesa che stiamo approfondendo. Il papa del “santo subito” di piazza s. Pietro, nella Centesimus annus affermava che per quanto le condizioni economiche dei paesi europei liberati dal comunismo, subito dopo il 1989, potevano essere considerate alla tregua di quelle del dopoguerra nel resto dei paesi europei, richiedendo pertanto uno grande sforzo solidale da parte dei popoli ricchi, non bisognava dimenticare gli “altri” poveri, quelli di sempre, quelli del “(…) Terzo Mondo, che soffrono spesso di condizioni di insufficienza e di povertà assai più gravi” (n.28). Giovanni Paolo II, nel 1991, ma certo non mancano gli appelli lanciati prima e dopo di lui, si appella ad uno “sforzo straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo nel suo insieme non è privo”, per uno sviluppo comune che necessariamente deve ridefinire “le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte economiche e politiche”. È chiaro che la questione è proprio questa, la ridefinizione delle priorità, basta pensare alle risorse che si libererebbero se si procedesse al disarmo di enormi apparati militari. Ancora non si vuole ammettere che costa meno alle economie mondiali spendere per la pace e lo sviluppo che continuare a prepararsi alla guerra perché “l’elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell’intera umanità”. Solo se si penserà all’idea di sviluppo non solo in termini economici, i problemi potranno essere superati e non si tratta solo di questioni che investono i poveri, perché l’intera umanità potrà beneficiare di un progresso morale ed economico se metteremo al centro i poveri, un altro modo di pensare e indicare il bene comune. Così il papa al n. 29: “Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all’appello di Dio, in essa contenuto”. Parole che risuonano ancora oggi nelle ultime affermazioni di papa Benedetto XVI quando con forza e continuità ricorda che non è nel profitto a tutti i costi, nella competizione esasperata e senza regole che si cela la chiave dello sviluppo dei popoli e il bene dell’uomo. Dignità, creatività, libertà, vocazione, sono invece le indicazioni inequivocabili che costruiscono la vera prospettiva liberante per ogni uomo, ricco o povero che sia. Si continua invece a favorire altre dimensioni, con “(…) un’eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed il rispetto della gerarchia dei veri valori dell’umano”. (n. 29). Ecco le coordinate di fondo, non di “difficilissima comprensione”, anche un sordo le avrebbe imparate a memoria pur non riuscendole ad udire vista l’ossessiva reiterazione che si rinnova nei pronunciamenti del magistero, coordinate puntualmente disattese dai grandi del mondo, quelli che contano e che certo non si preoccupano di approfondire e rendere storia concreta la Dottrina sociale della Chiesa se non in termini di presenzialismo in convegni, relazioni o appuntamenti culturali … sono quelli dei primi banchi. I cattolici doc che bussano porta a porta in occasioni delle elezioni, che gridano al rinnovamento della politica ma che non osano fare un passo indietro per una nuova generazione di politici se non per quelli che garantiscono un certo “equilibrio”, leggasi certi “privilegi” e “obbedienza agli ordini di scuderia”che equivale a dire che il rinnovamento è pari al nulla se non. al limite in una data anagrafica.