39. Giovanni Paolo II nella Centesimus annus: «La volontà del dialogo e lo spirito evangelico vincono qualsiasi avversario perché fondati sul diritto e la morale»

Continua la nostra analisi, per grandi linee, dell’Enciclica “Centesimus annus” di papa Wojtyła, e nel presente articolo ci faremo guidare dalle considerazioni che il santo pontefice compie guardando agli avvenimenti del 1989. Ci riferiamo indubbiamente ad una riflessione relativa all’agire di Dio nella storia e il posto che la testimonianza cristiana personale e comunitaria deve legittimamente avere nel contesto sociale e politico. Oscurare la genuina verità sull’uomo, fondata sul riconoscimento dei diritti naturali e prima di tutto della sua dignità e libertà, significa inficiare alla base la possibilità di costruire un ordine sociale solido e giusto. La coordinazione tra interesse personale e quello della società nel suo insieme, non solo è fruttuosa, ma è indispensabile se si vuole essere coerenti con un’idea di base: costruire il bene comune. Certo, affidare il cambiamento ad una formula politica o sociologica non basta. Nella storia molte volte troviamo sistemi politici che hanno promesso la soluzione dei problemi dell’umanità e la felicità per ogni uomo. In realtà ci si è dimenticati spesso del fattore essenziale e fondamentale, l’illimitata fiducia in Dio. Gli avvenimenti del 1989, con il crollo di un intero sistema politico – economico, offrono una chiara verifica di quanto sia impensabile fondare il futuro dell’uomo su principi che negano la sua libertà e ne offendano la dignità. “Dove la società si organizza riducendo arbitrariamente o, addirittura, sopprimendo la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita, il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade.” (n. 25). La sfera della creatività rimane mortificata, il suo posto viene preso da un sistema di controllo burocratico che inaridisce l’uomo perché non lascia spazio all’iniziativa e allo sviluppo. Le esigenze umane più profonde rischiano di essere soppresse se invece non ci si affida e s’investe su un altro sistema di significato e un altro orizzonte di vita, quello legato al destino stesso del Regno di Dio. Se è chiaro il punto d’approdo è più facile gestire il presente, ovvero la vita delle società temporali. “Il Regno di Dio, presente nel mondo senza essere del mondo, illumina l’ordine dell’umana società, mentre le energie della grazia lo penetrano e lo vivificano. Così son meglio avvertite le esigenze di una società degna dell’uomo, sono rettificate le deviazioni, è rafforzato il coraggio dell’operare per il bene. A tale compito di animazione evangelica delle realtà umane sono chiamati, unitamente a tutti gli uomini di buona volontà, i cristiani ed in special modo i laici.” (n.25). Ecco quindi che la Chiesa, incontrando il mondo operaio nei regimi ormai crollati dell’est Europa, ha saputo riconoscere e difendere il povero e l’oppresso, ha cioè saputo testimoniare il volto di Cristo là dove s’incarnava nella storia e nel tempo. Non solo quindi liberazione e difesa della dignità umana ma anche esempio di vita sociale a cui ispirarsi in quelle situazioni che ripropoongono le stesse dinamiche. Un esempio per il mondo proprio perché i cicli storici si ripongono con inattesa frequenza e irresponsabilità storico – politica.. In questa direzione trova esplicita applicazione l’idea che i poveri non possono e non devono essere considerati come “(…) un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri han prodotto. I poveri chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero. L’elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell’intera umanità.” (n. 28). La sfida, a nostro parere, è chiarire cosa intendiamo oggi per povertà.