18. Laborem Exercens: Art. n. 19: Il lavoro e l’uomo

Il sudore e la fatica, che il lavoro necessariamente comporta nella condizione presente dell’umanità, offrono al cristiano e ad ogni uomo che è chiamato a seguire Cristo, la possibilità di partecipare nell’amore all’opera che il Cristo è venuto a compiere.

(cf. Gv 17,4).

Nell’importante Enciclica di cui abbiamo iniziato a parlare nel numero precedente, il grande Pontefice, dopo una consiste introduzione, delinea con chiarezza il significato del lavoro nella vita del fedele, anteponendo a qualsiasi altra chiave interpretativa dell’attività lavorativa, una visone della stessa ben radicata nel messaggio di salvezza che nasce dalla Genesi. Chiave di lettura inconsueta perché il tema in questione spesso è rimasto descritto all’interno di sistemi di significato troppo o quasi esclusivamente declinati in termini economici, politici, filosofici e ideologici.

Il papa invece offre una lettura nuova, semplice e allo stesso tempo alta, densa di responsabilità e impegno sia personale che collettiva, in riferimento a disegni eterni e destini trascendenti a cui l’uomo è chiamato dal Dio vivente: il lavoro è parte integrante della vocazione che ciascuno è chiamato a scoprire e realizzare, con il lavoro l’uomo collabora all’edificazione del regno stesso di Dio, regno di pace, giustizia e perdono. «Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità. Egli si dimostra vero discepolo di Gesù, portando a sua volta la croce ogni giorno nell’attività che è chiamato a compiere». Ecco che salta ogni altro riferimento sociologico, politico, economico, filosofico, aspetti importanti ma secondari: con il lavoro il cristiano collabora con Gesù crocifisso. Questa verità non è diffusa adeguatamente, la nostra fede ci chiama a compiere il nostro lavoro nel miglior modo possibile, all’insegna della giustizia e della verità, soprattutto all’insegna della dedicazione a Cristo della nostra sofferenza quotidiana. L’imperativo al cambiamento è fortissimo, si tratta di ribaltare la modalità con cui esprimiamo e manifestiamo la fede, ordinariamente ritualistica e disincarnata. Si tratta di guardare l’uomo, come sempre ribadito dal magistero, nella sua totalità accogliendo e rapportando ogni sua dimensione al messaggio di resurrezione di Cristo Signore. In ciò sono chiari gli echi personalistici della filosofia di Maritain, tanto apprezzato e caro al papa polacco.

La Chiesa, continua l’Enciclica, valorizza l’apporto delle molteplici scienze che si occupano del lavoro, dall’antropologia alla paleontologia, dalla storia alla sociologia e alla psicologia, ecc, tutte contribuiscono a comprendere una realtà che è alla base dell’esistenza umana. Tuttavia il dato antropologico deve sposarsi con quello teologico per afferrare la natura dell’attività lavorativa, e ciò è possibile analizzando attentamente la Parola rivelata già nel contesto della Creazione. «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela» (Gen 1,28), anche se queste parole non si riferiscono direttamente ed esplicitamente al lavoro, indirettamente già lo indicano al di là di ogni dubbio come un’attività da svolgere nel mondo. Anzi, esse ne dimostrano la stessa essenza più profonda. L’uomo è immagine di Dio, tra l’altro, per il mandato ricevuto dal suo Creatore di soggiogare, di dominare la terra. Nell’adempimento di tale mandato, l’uomo, ogni essere umano, riflette l’azione stessa del Creatore dell’universo.

Quanto detto già illumina le scelte di fede verso direzioni certamente interessanti e nuove, ma prima di congedarci vorremmo aggiungere un ultimo e importante aspetto, legato alla prospettiva che abbiamo esposto finora. Il lavoro possiede la caratteristica della transitività perché prendendo le mosse dal soggetto si rivolge verso una realtà esterna al soggetto stesso. Tale movimento suppone una specifica possibilità sottesa all’uomo stesso di dominio e controllo dell’oggetto esterno, ben indicato dal termine “terra”, per il quale si deve intendere «prima di tutto quel frammento dell’universo visibile, del quale l’uomo è abitante; per estensione, però, si può intendere tutto il mondo visibile, in quanto esso si trova nel raggio d’influsso dell’uomo e della sua ricerca di soddisfare alle proprie necessità» Pertanto l’indicazione “soggiogate la terra”, ha un’immensa portata perché riguarda tutte le risorse di cui la terra dispone, interpella tutti gli uomini, ogni generazione, ogni fase dello sviluppo economico e culturale.«Tutti e ciascuno, in misura adeguata e in un numero incalcolabile di modi, prendono parte a questo gigantesco processo, mediante il quale l’uomo “soggioga la terra” col suo lavoro». Visione alta ma non altamente popolare.