SCIENZA / Un dispositivo portatile per produrre farmaci

Sarebbe utile nel corso di emergenze sanitarie oppure per produrre quantitativi limitati di farmaco

Quanta fatica per ottenere un buon farmaco! Tempi lunghi e costi notevoli caratterizzano il lungo processo, articolato in varie fasi, che porta sul mercato – e quindi mette a nostra disposizione – un nuovo ritrovato farmaceutico per la cura di qualche patologia. Naturalmente, data la necessità di impiegare massicce risorse economiche per raggiungere questo obiettivo, l’industria farmaceutica tende a investire prevalentemente (o quasi esclusivamente) su quei prodotti che promettono significativi ritorni in termini di guadagno, o perché abbastanza costosi, o perché interessano una numerosa platea di potenziali fruitori.
Normalmente, la produzione dei farmaci con i metodi convenzionali – nell’insieme conosciuti come “batch processing” – richiede settimane o mesi di tempo. I principi attivi dei nuovi preparati, infatti, vengono sintetizzati in impianti chimici, per poi essere trasferiti in altri siti, dove vengono convertiti in una forma che possa essere somministrata ai pazienti (compresse, pillole, soluzioni o sospensioni).
Ma questo sistema ha una flessibilità molto limitata, soprattutto quando si tratta di rispondere a ondate improvvise di richieste, oltre che essere soggetto a grossi problemi se uno degli impianti si ferma. Sintetizzare tonnellate piuttosto che grammi di principio attivo, infatti, non si riduce a una pura variazione quantitativa degli elementi di base. Occorre invece ottimizzare tutti i parametri coinvolti nel processo di sintesi del principio attivo (temperatura, tipo di solvente, reagenti, tempi di reazione, formazione di sottoprodotti e loro eventuale allontanamento, ecc), in modo da avere una buona resa e, soprattutto, una buona riproducibilità del processo. La messa a punto di tutti i parametri e della procedura da utilizzare è condotta a partire da piccolissime quantità (milligrammi) fino ad arrivare gradualmente a quantità maggiori, controllando come le condizioni di reazione variano al crescere delle quantità. Ecco perché molte case farmaceutiche stanno cercando di sviluppare un approccio alternativo (noto come “flow processing”), che consiste in un processo continuo che si svolge tutto in un unico sito produttivo.
Si può quindi ben comprendere l’importanza della ricerca di un gruppo di ricercatori del Mit di Cambridge, nel Massachusetts (Usa), che hanno realizzato il prototipo di un dispositivo portatile, in grado di sintetizzare farmaci a richiesta a partire dai componenti chimici di base. Secondo la descrizione fatta in un recente articolo (pubblicato su Science), infatti, gli studiosi del Mit avrebbero messo a punto un sistema di produzione di farmaci portatile e riconfigurabile in modo da ottenerne tipi diversi, da utilizzare nel corso di emergenze sanitarie oppure per produrre quantitativi limitati di farmaco (ad esempio, piccole produzioni destinate alle malattie rare, dette “orfane” proprio perché oggi l’industria farmaceutica non se ne preoccupa).
Già cinque anni fa, un gruppo di ricercatori del Mit aveva realizzato un prototipo per la produzione integrata di farmaci a partire dalla sintesi dei principi attivi per arrivare alle compresse. Ma si trattava comunque di un dispositivo abbastanza ingombrante. In questo nuovo progetto, finanziato dalla Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa) degli Stati Uniti, i ricercatori del Mit hanno invece realizzato un dispositivo analogo, ma di dimensioni decisamente inferiori, in grado di produrre in 24 ore circa 1000 dosi di diversi farmaci in soluzione o sospensione, come l’antistaminico difenidramina, l’anestetico lidocaina, l’ansiolitico diazepam e l’antidepressivo luoxetina.
Come già accennato, uno dei vantaggi di questo sistema su piccola scala è che potrebbe essere utilizzato per produrre piccole quantità di farmaci, che negli impianti tradizionali di grandi dimensioni avrebbero costi proibitivi. Sarebbe quindi estremamente utile per sintetizzare i cosiddetti “farmaci orfani”, che servono cioè a trattare un numero di pazienti molto limitato. “Spesso avere accesso a questi farmaci – ha spiegato Klavs Jensen, che ha partecipato allo studio – è molto difficoltoso, poiché dal punto di vista economico non ha senso avviare una produzione su grande scala”.
Un altro vantaggio che questa nuova invenzione lascia intravedere è la possibilità di realizzare una “produzione a richiesta” di farmaci, che eviterebbe la necessità di disporre di ampi spazi da destinare all’immagazzinamento dei farmaci a lungo termine, e permetterebbe di rispondere prontamente e sul campo a eventuali emergenze sanitarie.