Rieti e la condizione del rifugiati

Stare in quattordici, sistemati alla buona, esposti al freddo, all’insicurezza, alla miseria. È la condizione di un gruppo di rifugiati politici a Rieti. Vengono dalla Libia, dal Ghana, dal Sudan, dal Mali, dal Congo, dalla Guinea. Sono scappati dalle condizioni disumane della guerra. Sono cristiani e musulmani.

Conclusa la residenza nell’ex convento di Sant’Antonio al Monte si ritrovano ad abitare in una casa non troppo lontano. Per conservare un minimo di calore stanno al buio, con le persiane chiuse. Ma serve a poco coi vetri rotti. Uno ha una microscopica stufetta. Dormono in letti a castello. Un materasso è a terra. Sui giacigli lenzuola estive. Il più fortunato ha avuto una coperta dalla Caritas. In giro c’è qualche trapunta con decorazioni infantili.

Non cucinano. Mangiano solo la sera, alla mensa di Santa Chiara. Non hanno più altri sussidi. Non gli è stata insegnata la lingua. Non vengono accettati in altri paesi dell’Unione Europea. Impossibile per loro trovare un lavoro.

«Qui siamo davanti ai veri poveri» spiega don Valerio Shango, responsabile dell’Ufficio Pastorale per i Problemi sociali e il Lavoro. «Se non ci affrettiamo a porre rimedio, la nostra comunità rischia di essere complice di una deviazione. È una cosa che non fa davvero onore a Rieti».

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