Una buona notizia

Quando apre una attività commerciale è sempre una buona notizia. Si dirà che non per questo la cosa merita un articolo di giornale. È vero, ma stavolta vale la pena di fare una eccezione.

Ad avere aperto, anzi riaperto, è il bar del Conforama, del vecchio Emmezeta. Ultimamente il “Mercatone” entrava nelle cronache solo per via della crisi e dei licenziamenti, dunque ben venga un cambio di direzione.

Se riapre il bar – che è quasi un servizio essenziale in un’area commerciale – vuol dire che forse stiamo per assistere ad una inversione di tendenza. Con questa idea in testa, capitando al momento dell’inaugurazione, siamo riusciti a scambiare due parole con l’amministratore dell’esercizio.

«Quello che ci proponiamo – ci ha detto – è di introdurre funzioni inedite all’interno dell’area commerciale. Di base abbiamo il bar, e tra qualche giorno il servizio di baby parking. Ma per il resto, lo spazio che in passato era tutto per il caffè, è stato attrezzato con un’ottica multimediale e polifunzionale. Sarà ad esempio utilizzato per fare corsi e attività culturali. Ma anche mostre, presentazioni di attrezzature professionali e così via. Abbiamo stretto un accordo con il Campus Accademia della Ristorazione e già stiamo progettando corsi di gastronomia domestica e da chef. Soprattutto cercheremo di fare del nostro esercizio un punto di formazione al lavoro con corsi da barman o da operatore di sala».

È stata una scommessa investire sul Mercatone?

Ovviamente abbiamo chiesto rassicurazioni sulla continuità dell’attività. La direzione del Conforama ci ha spiegato che non c’è alcuna intenzione di chiudere il punto vendita, anche se è possibile che in futuro si avranno aggiustamenti dell’offerta commerciale. Ma il nostro – se così possiamo dire – è un atto di fede anche più grande. Abbiamo l’idea che passata l’ubriacatura che ha fatto spostare tanti acquisti verso le grandi aree commerciali del circondario romano, ma anche a Terni o a L’Aquila, si riprenderà a fare acquisti “sotto casa”. Pare un ossimoro, ma qualcosa ci dice che oggi ci sono le condizioni per immaginare un “mercatone a km zero”.

Per l’inagurazione avete proposto un’esibisione di Luca e Germano ai clienti dell’area commerciale…

Sì, è un modo per allietare l’inizio dell’attività, ma anche un esempio di quello che la nostra offerta. Speriamo di poter collaborare con molti altri artisti. In certi ambienti culturali la grande superfice di vendita viene generamente pensata come un “non luogo”, come uno spazio alineato e alienante. Secondo noi, invece, c’è un potenziale umano da riscoprire anche in questi posti. Il problema è tutto nel modo in cui si vogliono vivere e qualificare.

L’Emmezeta di un tempo costituiva in qualche modo la “domenica reatina”…

È vero, si veniva qui a passare un paio d’ore, anche solo per comprare una stupidaggine. Poi le abitudini e le necessità sono evidentemente cambiate. Ma lo spazio rimane. Dovremmo rifletterci più spesso: in fondo siamo ancora all’interno di una fabbrica. Quando quella impostazione è stata superata è arrivato il Mercatone. Oggi questo tipo di attività ha ancora senso, ma va ripensata. Ad esempio cercando di fare un uso diverso degli spazi della galleria. Un tempo erano occupati dai negozi: è evidente che oggi è necessario puntare su qualcos’altro. Da parte nostra cercheremo di riqualificare l’ingresso, di posizionare un gazebo informativo, di suggerire un pizzico di rinnovata utilità alla dimensione del commercio di massa.

Sembra abbiate in mente una sorta di vocazione sociale dell’impresa…

Hai colto un punto. Non a caso abbiamo scelto di gestire l’attività costituendo una società cooperativa. Ci piace l’idea dell’orizzontalità del lavoro. Pensiamo che oggi sia necessario distribuire la responsabilità del lavoro tra tutte le persone che si impegnano in una impresa. Siamo convinti che il lavoro sia un bene diffuso, un qualcosa da fare e non da farsi dare. Non si può più intendere come un qualcosa da ricevere dall’alto o, come si dice oggi, da “somministrare”. Pensiamo che la struttura del lavoro debba essere fatta di affiancamenti e non di superiorità. L’amministratore che gestisce e fa il progetto non è più importante di chi sta al bancone e serve i caffé. La macchina funziona se si regge sul rispetto e la cooperazione.

Sembra un discorso in forte controtendenza…

Ce ne rendiamo conto, e sappiamo di aver fatto una scommessa. Ma proprio per questo l’apertura del bar non la pensiamo come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza.