Umano, troppo umano

Tutto il mondo parla di Rieti. Il 15 gennaio una suora sudamericana si presenta all’ospedale con forti dolori addominali. Gli infermieri rilevano che è incinta e lei afferma di non esserne a conoscenza. Nasce un maschietto di tre chili e mezzo a cui viene dato nome Francesco, in omaggio al Papa.

Questi i fatti, senza gli aggettivi e le espressioni di stupore che hanno arricchito le cronache. Facile insistere sul contrasto tra l’abito della donna e il suo “stato interessante”. Facile sorridere della sua candida ammissione di inconsapevolezza.

E il Web? La notizia ha dimostrato subito una forte carica “virale”. Quanta ironia, quante analogie con l’incarnazione divina, quanti maliziosi sospetti sulla misteriosa paternità! E polemiche interminabili nei social network, tra chi scherza, chi giustifica e chi condanna, spesso in bilico tra fraintendimento e malafede.

Niente di strano, la storia si presta bene ai punti interrogativi, al non detto, e forse pure alla bugia. Ma com’è tutto umano, troppo umano! Non è proprio questa, in fondo, la morale della favola?

È già un miracolo essere sinceri con se stessi, figuriamoci con tutti. Episodi come questo ci fanno ricordare che tutti, ma proprio tutti, siamo di sangue e di carne.

Ma allora che c’è da giudicare? Da quale prospettiva ci poniamo quando pronunciamo le nostre sentenze? Pensiamo piuttosto al nuovo arrivato, ad accoglierlo, a difenderlo da curiosità e pregiudizi.

Quanto a Rieti tornerà presto nel dimenticatoio, non c’è da preoccuparsi.

di Caterina D’Ippoliti e Samuele Paolucci