Teatro e Shoah: quello spillo sul cuore

Giornata della memoria e arte: un dialogo sorprendente.

“Memorie” è il titolo dello spettacolo andato in scena ieri a Roma al Teatro della Bottega. Realizzato in occasione della Giornata della memoria, celebrata ogni anno il 27 gennaio, lo spettacolo è frutto di ricerche e documentazioni su lettere e testimonianze, e ripercorre le memorie degli avvenimenti legati alla Seconda Guerra Mondiale: le deportazioni, le umiliazioni, le sofferenze, ma anche le speranze, i gesti di solidarietà, i guizzi di vita. “Nel momento in cui l’uomo ha raggiunto il massimo dell’orrore – scrive l’autrice e regista Marinella Montanari -, nel momento in cui le forze del bene sembravano sconfitte, una nuova speranza ha potuto ridisegnare le relazioni tra i popoli: la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948)”. Forze positive che hanno lavorato con costanza e in maniera invisibile per generare nuovi obiettivi, nuove “stelle guida”.

“Le pietre presero forma umana”. Il racconto dell’arrivo della guerra, come un tuono improvviso che annulla ogni altro suono, impedisce l’ascolto e la parola, è affidato nello spettacolo a un piccolo ensemble. Una cantante (Marinella Montanari) e un chitarrista (Corrado Celeste) vivono portando la musica per le città, tra le strade. Finché i proclami delle leggi razziali, i grandi manifesti di propaganda, e poi i boati delle bombe, irrompono come pietre lanciate dall’alto, a impedire ogni quotidianità. Le urla dei comandi soffocano la canzone, gli annunci della radio coprono ogni poesia. L’ensemble si ritrova spettatore degli atti delle deportazioni, gli amici di un tempo sono prelevati e allontanati, gli ascoltatori rapiti dagli obblighi. Nello stupore dell’impensabile, i due musicisti salgono infine su un treno, un carro merci, che attraversa l’Italia, l’Europa tutta, tutte le genti e le lingue, insieme agli amici, a quelli conosciuti con uno sguardo, agli ascoltatori un giorno passati per caso in qualche piazza. A ogni stazione, dai vagoni chiusi, senza finestre, schizzano fuori centinaia di lettere ingiallite: messaggi a destinatari precisi, affidati al lettore fortuito, al passante che si fa latore di speranza e di vita.

Il giorno dell’arte. La destinazione azzera ogni colore, forma, suono, età. Sono i racconti che conosciamo, o abbiamo ascoltato almeno una volta o visto almeno in un filmato. Sono immagini ripetute, nomi e parole sentiti. Eppure ogni volta ci pungono il petto certe canzoni, certi corpi e certi sorrisi stonati su volti scavati. E c’è uno spillo che preme anche per i gesti, le divise, le certezze. La Giornata della memoria, istituita per legge dalla Repubblica italiana nel 2000, accorre per “conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo”, affinché “simili eventi non possano mai più accadere”. Non è il giorno delle conferenze, dei dibattiti, delle discussioni. È il giorno della poesia, della musica e spesso del teatro. È il giorno dell’arte. Strano contrappasso, perché l’arte e il teatro nei lager fa tornare alla mente la farsa del 23 giugno 1944, quando il campo di concentramento di Theresienstadt, a pochi chilometri da Praga, fu allestito, ripitturato e infiorato in vista della visita della Croce Rossa danese, preoccupata delle reali condizioni dei concittadini ebrei. I prigionieri diventarono attori, nella piazza venne allestito un palco, suonava l’orchestra, i bambini mettevano in scena l’opera “Brundibar”, scritta da un internato, mentre i nazisti riprendevano tutto con le telecamere. Anche il teatro era stato stravolto, snaturato, annullato. Ma non è una farsa il teatro perché non deve alleggerire i cuori, imbiancare i pensieri. Per la Giornata della memoria non ci sono spettacoli commoventi. È il giorno in cui quello spillo sul cuore torna a premere, ancora una volta, almeno una volta.