Schneider: Natale con elementi di speranza

La dolorosa vicenda dei lavoratori della Schneider Electric di Rieti sembra prendere una piega positiva grazie all’interesse di un nuovo soggetto industriale.

Sul tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico è arrivato il piano industriale proposto dalla “NewCo” Elexos e i riscontri sembrano favorevoli.
Si prevede un investimento di 18 milioni di euro all’anno per tre anni, metà garantiti da commesse della Schneider e metà da fatturare sul mercato. Non è stato ancora siglato un accordo definitivo, ma la roadmap impostata al Ministero per le trattative con la multinazionale ed i lavoratori è in corso di svolgimento e sembra possa davvero offrire una risposta alla durissima situazione che si è creata attorno al sito produttivo reatino.

Ne abbiamo parlato con Andrea Trenti, che tra i protagonisti della società impegnata a rilevare lo stabilimento della multinazionale francese sembra quello maggiormente impegnato “sul campo”.
«Possiamo dire che la nuova società avrà sede a Rieti e quindi sarà una realtà del tutto basata sul territorio» ci spiega. «Viviamo in un clima economico dal quale nascono spesso più opportunità dalla contrazione che dalla espansione. Questo di Schneider è un esempio abbastanza tipico. La sfida è ricavare, – anche dove sembra che il valore venga distrutto e non creato – quel che c’è di buono. Occorre, per così dire, cavalcare la crisi. È quello che stiamo cercando di fare nell’ipotesi ormai probabile che subentreremo a Schneider. Oltre me, il gruppo vede altri due soci, operanti da anni nel settore».

Quella di Elexos sembra una scelta in controtendenza. Rieti da tempo assiste a chiusure industriali e delocalizzazioni. Cosa vi ha spinto ad investire qui?

Premesso che il sito è ancora di Schneider e che al momento non c’è ancora nulla di vincolante, ci siamo messi di buona lena a lavorare. Il progetto si basa su ciò che Schneider ha reso disponibile: il gruppo ha fatto in modo che si creassero le condizioni adatte. Ha dato una grande disponibilità riguardo agli strumenti per uscire da una situazione non piacevole per molti lavoratori. Ora si tratta di riuscire a fare in modo che questi strumenti trovino la giusta collocazione e vengano messi a frutto. Non basta avvalersi di quello che il gruppo offre, pur essendo un pacchetto piuttosto generoso. Stiamo cercando di avvalerci di molte sinergie, che abbiamo cercato e trovato. Oltre alle commesse che fin’ora Schneider ci ha assicurato, ci siamo rivolti al libero mercato. In questo momento la nostra previsione è di fare una produzione rivolta almeno per metà al libero mercato. In questo modo l’attività starà in piedi con le sue gambe e potrebbe in futuro allontanarsi sempre più dalla multinazionale francese.

Il piano industriale presentato è stato giudicato sia da Schneider che dai sindacati un punto di partenza positivo. Ma Rieti ha vissuto tante dismissioni industriali e in passato ci sono stati elementi di speranza che poi sono stati delusi. Percepisce questo clima di sfiducia e questo rischio?

Sì, ma va anche detto che da questo punto di vista Rieti non fa eccezione. In Italia e in moltissime zone del mondo facciamo i conti con questo clima. E certo non è un bel clima. Se possiamo parlare di scommessa, possiamo dire che non va presa come un gioco d’azzardo: va misurata. Quello che noi abbiamo fatto è stato di dare basi tecniche e concrete alla scommessa. Che sarebbe stata tale anche in zone d’Italia in cui si pensa che il clima sia un altro. Ma le condizioni sono cambiate dappertutto. Da un punto di vista generale ci muoviamo in un sistema geo-economico contrassegnato da un grande spostamento dei flussi di produzione. Più che di delocalizzazione potremmo parlare di “de-occidentalizzazione” in tutti i settori produttivi. Oggi occorre cercare di capire il punto di caduta di questi flussi. Probabilmente nei prossimi anni vedremo un nuovo equilibrio in cui il “vecchio mondo” – Stati Uniti compresi – dovrà fare i conti con uno scenario molto allargato. Il Pil mondiale sarà distribuito su molti altri Paesi. Dobbiamo abituarci all’idea di condividere una leadership nel ruolo economico produttivo con Paesi nuovi. L’equilibrio non sarà quello di oggi. Sicuramente ci sarà un assestamento. Anche i Paesi come la Cina – e sono parecchi – subiranno i processi di assestamento che abbiamo affrontato noi negli anni ‘60 e credo che faranno prima di noi ad attraversare il boom. Queste “bolle” alla fine fatalmente si risolveranno aiutandoci ad uscire, almeno in parte, dalla nostra crisi. Il concetto è di farsi trovare «con la lanterna accesa quando arriverà lo sposo»: questo credo che anche per il sito di Rieti sia una buona regola da seguire nei prossimi anni.

Nel frattempo c’è questo forte momento di difficoltà e spesso si guarda al lavoro in quanto tale, fine a se stesso. Ma è decisivo anche “cosa” si produce. Qual è il prodotto su cui puntate per il futuro dello stabilimento?

Abbiamo dei programmi abbastanza precisi e abbiamo anche individuato clienti precisi. Ci rivolgeremo al mercato delle telecomunicazioni, con il quale abbiamo in questi giorni già acquisito degli ordini, anche se purtroppo non possono essere intestati alla nuova società finché gli accordi definitivi non saranno stati firmati. Ma gettiamo il cuore oltre l’ostacolo: per noi quella è già produzione di Rieti. Sono ordini che dovranno essere eseguiti nell’arco del 2015 ed è il primo tassello che abbiamo immaginato di portare a casa. Inoltre uno dei soci che partecipa all’operazione è specializzato nell’automotive e questo ci dovrebbe far accedere a clienti come Volkswagen e Fiat. Poi pensiamo anche alla realizzazione di cablaggi e assemblaggi: inizialmente avranno una impostazione un po’ più manuale, ma vedremo nel tempo come automatizzarli, una volta consolidati nel business.

Sia l’Ufficio diocesano per i Problemi Sociali che la redazione di «Frontiera» hanno seguito da vicino i lavoratori. Ne conosciamo bene la situazione e gli umori. Fermo restando che la trattativa non è conclusa, possiamo dire che ci sono elementi di speranza per il futuro di Rieti?

Assolutamente sì. Io sono determinato a trasferirmi qui. Credo che anche questo possa costituire un segnale di come tutti puntiamo sull’effettiva riuscita di questa operazione. La nostra non è una operazione speculativa, è esclusivamente industriale, di carattere molto concreto e veramente deve dare il sostentamento alle famiglie dei lavoratori che ci saranno. E ci metto dentro anche la mia.