Reate Festival: non tutto il male viene per nuocere

Liberato dai trionfalismi della prima ora, il Reate Festival sembra aver finalmente trovato la misura della città.

Non ci pare sia stato detto esplicitamente, ma Rieti si è certamente accorta che il Reate Festival quest’anno si presenta con una certa sobrietà. È probabile che questo cambio di linea dipenda da un budget ridotto rispetto al passato.

Senza dover fare per forza l’elogio della povertà, la mancanza di risorse ci sembra risolversi in un bene. Pure se per ripiego, questa l’edizione sembra avere una dimensione più consona alla città.

E forse, per la prima volta, la città potrebbe cercare di avere un rapporto sereno con la proposta, percepita in passato come una forzatura calata dall’alto e dal carattere troppo elitario.

Una migliore politica dei prezzi e la ricerca della qualità musicale più che della vedette fanno ben sperare per il futuro. E non è che il cast sia di seconda scelta, anzi.

Il fatto è che Rieti non può realisticamente aspirare ad essere la «capitale del Bel Canto» come si è scritto fino allo sfinimento in passato. Ci si sente ridicoli solo a pensare che il Vespasiano possa competere con La Scala di Milano o il Metropolitan di New York.

Ma se rinunciamo alle manie di grandezza e lavoriamo sulle possibilità reali della città, potremmo davvero costruirci una nicchia per la musica di qualità.

Avere per cantanti ed orchestrali bravi giovani che vengono a farsi le ossa a Rieti non è affatto un male. Potrebbero ravvivare la vita musicale della città e facilitare il dialogo con i ragazzi delle scuole. Un qualcosa quest’anno si è già mosso in questo senso con l’iniziativa “Aspettando il Festival” promossa del liceo Scientifico.

Anche il coinvolgimento del Conservatorio sarebbe auspicabile.

L’austerità del momento, se non è fine a se stessa, si può trasformare in una prospettiva di sviluppo credibile. A patto, ovviamente, che certe iniziative non si facciano semplicemente per spendere i soldi quando ci sono.

8 thoughts on “Reate Festival: non tutto il male viene per nuocere”

  1. Roberto C

    Saluti a tutti!
    Volevo commentare l’articolo di Fabrizi, sul Reate Festival.
    Premesso che i giornalisti non mi stupiscono più per le sciocchezze che scrivono e che farebbero meglio ad informarsi adeguatamente sui fatti prima di profanare risultati eccellenti e lusinghieri che la città ha conseguito in passato, mi permetto di correggere alcune delle inesattezze riportate nell’articolo. Innanzitutto, già lo scorso anno la politica dei prezzi fu di portata popolare, in quanto spettacoli come “Così fan tutte” di Mozart, con Kent Nagano direttore d’orchestra, ha avuto un prezzo di biglietto di 10 Euro!! La qualità, non è stata certo bassa, come afferma il Fabrizi. La verità e che è stata raggiunta una qualità altissima con un costo irrisorio, grazie anche agli interventi di qualcuno che gode di un prestigio internazionale e che non è neanche giusto menzionare se non per ben altri discorsi!!! Non era intenzione né del direttore artistico né di nessun altro mettere in competizione il teatro Flavio Vespasiano di Rieti con altre prestigiose istituzioni italiane. Lo scopo era di fare della città un veicolo importante per rilanciare un genere musicale purtroppo “sofferente”, e nel contempo, dare lustro alla vita culturale locale e avvicinare i giovani all’opera.
    Pertanto ben venga il Reate Festival, ridimensionato, ma non certo per le ragioni che ha citato il Fabrizi.
    R. C.

  2. David Fabrizi

    Gentile Roberto, grazie per l’intervento e mi perdoni la “profanazione”: non mi ero accorto di trovarmi davanti a qualcosa di sacro! Porti pazienza. Quanto alla sua risposta: che i prezzi fossero stati già abbassati l’hanno scorso lo ricordavo bene, ed infatti non ho scritto che siano popolari da quest’anno. Ho solo sottolineato che si tratta di una politica buona e da mantenere. Non ho neanche scritto che la qualità delle edizioni precedenti fosse bassa, né sostengo lo sia quella attuale.
    Non vorrei polemizzare con chi ha in mano «La verità», ma non mi è chiaro se Lei intenda dire che il rapporto tra la qualità e i costi sia stato irrisorio per il prezzo del biglietto o per l’operazione in sé. Sono due situazioni che aprono a scenari diversi.
    Rispetto però il suo senso del sacro. Se davvero non si può nominare in vano chi «gode di un prestigio internazionale» passo oltre.
    Sono d’accordo quando scrive che «Non era intenzione né del direttore artistico né di nessun altro mettere in competizione il teatro Flavio Vespasiano di Rieti con altre prestigiose istituzioni italiane». Non credo siano così sciocchi. Lo sono – come giustamente dice anche di me – i giornalisti e gli addetti stampa. Non fanno eccezione nemmeno quelli che – interni al Reate Festival – scrivono le cose che gli indicano il direttore artistico e qualcun altro. Forse non mi informerò «adeguatamente sui fatti», ma che Rieti possa essere la «capitale del Bel Canto» (per qualcuno addirittura «mondiale») non me lo sono di certo inventato. Allego qualche link, ma, le assicuro, sono una ristretta campionatura:

    Comunque sia: ben venga il Reate Festival, ridimensionato, purché lo si renda sempre più permeabile alla città. Altrimenti si darà pure «lustro alla vita culturale locale», ma di giovani che si avvicinano al teatro musicale e alla pratica strumentale se ne vedranno pochi.

  3. Alberto RANALLI

    Da appassionato di musica ed assiduo frequentatore del Reate Festival da quando è stato istituito, non posso che compiacermi di questa iniziativa che ha finora prodotto manifestazioni di alto livello grazie alla partecipazione di nomi illustri (negli scorsi anni) e di nomi un po’ meno illustri ma degni di lode ( quest’anno) .
    Certo, negli scorsi anni c’era a livello locale e nazionale una situazione politica ed anche economica diversa ed i cordoni della borsa forse sono stati allargati a dismisura in rapporto ai ricavi, ma con risultati artistici che sono apparsi chiari a tutti o perlomeno a coloro che un pochino conoscono la grande musica e i protagonisti che gli ruotano attorno.
    Direttori come Kent Nagano e cantanti come Sonia Ganassi e Marina Poplavskaja, stupende interpreti dell’ edizione del Così fan tutte, che alla Scala sono di casa (quest’ultima parteciperà all’edizione del Ring in programma per stagione nel 2013 per il bicentenario della nascita di Wagner), non si possono certo prendere per due soldi ed anche se non conosco i cachet loro pagati dagli organizzatori del Festival credo di poter affermare che in ogni caso non sono stati soldi buttati .
    Per non parlare poi del contributo dato alle scorse manifestazioni da un Istituzione come l’Accademia di S.Cecilia e del suo Direttore, Maestro Bruno Cagli, uno dei più prestigiosi studiosi di storia della musica e forse il massimo esperto mondiale della musica di Rossini, la cui presenza in loco ad ogni spettacolo con le sue dotte presentazioni ed interviste ha dato un ulteriore lustro all’insieme.
    Non condivido per nulla quindi quanto scritto dall’articolista D. Fabrizi.
    Certamente Rieti non è Milano e il Teatro Vespasiano non ha la fama della Scala.
    Ha però un’acustica di certo non inferiore alla Scala (anzi), è straordinariamente bello per come è stato ristrutturato e si presta magnificamente per le sue proporzioni armoniche e non dispersive ad un ascolto più attento, sia delle opere, sia della musica puramente strumentale, consentendo all’ascoltatore di cogliere sfumature più difficilmente udibili altrove ( parlo per esperienze dirette vissute anche nei maggiori santuari dell’opera e dei concerti italiani ed internazionali).
    Se Rieti non è MIlano e il Vespasiano non è la Scala, credo tuttavia che alla Scala il teatro reatino si sia quanto meno qualitativamente accostato in alcune serate d’agosto dell’anno scorso, uscendo da un anonimato di lungo corso e mostrando un’ attitudine ad emularla piuttosto sorprendente.

    Ritengo pertanto che il Teatro Vespasiano abbia tutte le carte in regola per raggiungere, con il tempo, investimenti e soprattutto scelte artistiche non dispersive e ben gestite sul piano della comunicazione, un livello di prestigio in grado di attirare pubblici di intenditori che, come spendono cifre considerevoli per frequentare Scala, Area di verona , Salisburgo etc potrebbero venire a spenderne un po’ anche a Rieti laddove vi fossero organizzati eventi musicali di elevata portata , con un indotto per la città e dintorni che non è difficile immaginare.
    Non facciamoci quindi prendere da eccessivi complessi di inferiorità e guardiamo a questo Teatro come ad una grossa risorsa di Rieti che messa nelle mani giuste potrebbe forse segnarne una significativa svolta.
    In altre parole non ripetiamo l’errore commesso negli anni ’50 quando a Giancarlo Menotti che cercava una sede per il suo nascente Festival dei Due Mondi fu risposto picche..con buona fortuna per Spoleto .

  4. David Fabrizi

    Il Vespasiano è sicuramente una risorsa. Non si può dubitare della sua acustica: non solo ce lo confermano solo le nostre orecchie, ma anche il parere autorevole di Uto Ughi.
    Ciò non toglie che tra il pensarsi «capitale mondiale del Bel Canto» e il complesso di inferiorità c’è una giusta misura da indovinare. Mi sembra che l’edizione di quest’anno del Reate Festival ci sia riuscita, anche se rimane il sospetto di trovarsi di fronte all’effetto collaterale della mancanza di fondi, più che ad una consapevole scelta progettuale.
    Non mi sembra che qualcuno tema la nostra concorrenza, ma nessuno ci vieta di credere di poter diventare attraenti come La Scala, L’Arena di Verona, il Festival di Salisburgo o quello di Bayreuth. Dove possa trovare le risorse per una operazione del genere una città di 40.000 abitanti in profonda crisi economica e forse ancor più di identità, però, resta problematico.
    E’ vero che Spoleto ha più o meno gli stessi abitanti di Rieti e riesce ad essere sede di un “vero” festival internazionale. Ma sembra più un “unicum” che un sistema esportabile e riproducibile a volontà.
    Perché il Festival dei Due Mondi non si fece a Rieti non lo so. Forse è perché oltre al Vespasiano non è che abbiamo molto altro da offrire come strutture. Comunque sia è meglio essere prudenti: a fare i trionfalisti si fanno brutte figure: http://tuttoggi.info/articolo/13890/
    Sarà che non sono pervaso dalla smania per il «lustro», ma mettere a sistema il Festival con la città piuttosto che continuare a guardare fuori in cerca di fondi, pubblico e visibilità internazionale mi pare molto più utile e assennato.

  5. Alberto RANALLI

    Ognuno ovviamente ha le sue opinioni ed è giusto che così sia . Però rassegnarsi ad una perpetua mediocritas non credo sia il mezzo migliore per risolvere i problemi e far uscire Rieti dalla palude in cui si trova.
    Per non voler rischiare più d tanto, oltre che per molte altre ragioni, la città in questi ultimi anni è precipitata in un limbo . Non è riuscita a valorizzare il Terminillo e le altre grandi risorse naturalistiche della sua Provincia; aveva un promettente nucleo industriale che anche per la mancanza di idonee infrastrutture di comunicazione è andato progressivamente perdendo competitività , favorendo lo sviluppo di altre località limitrofe; doveva infatti dotarsi di una ferrovia di collegamento diretto con Roma e con altri nodi ferroviari e non se ne è fatto niente dopo anni di progettazioni e di chiacchiere;la Salaria è ormai diventata un viottolo intasato .E l’elenco potrebbe continuare.
    E’ vero che stiamo vivendo una crisi epocale che ha investito l’intera Italia ; credo tuttavia che se si continua così fra qualche anno si raccoglieranno grossi cocci. Ai loro tempi le istituzioni da Lei citate hanno anch’esse avuto immensi problemi .C’è sempre un inizio per tutto; nulla è facile e la storia ce l’insegna. Occorre però il coraggio di tentare tenendo presente che chi non risica non rosica. Con il Reate Festival è stato fatto un tentativo, l’ennesimo per valorizzare Rieti, che come i molti che lo hanno preceduto rischia di abortire se non si guarda un po’ di più oltre lo steccato. Pazienza.Ci consoleremo con il “vernacolo”.

  6. David Fabrizi

    Rimango perplesso di fronte a questa alternativa secca tra una possibile grandeur reatina e la mediocrità. Mi pare che proprio forzando la scelta su questa falsa opzione sia invariabilmente arrivato il fallimento di ogni iniziativa. Piuttosto che procedere sulla misura delle forze disponibili si è cercato di fare il colpo grosso, gonfiando la realtà con un vuoto trionfalismo.
    Se invece di cercare forsennatamente il salto di qualità avessimo fatto piccoli passi – coinvolgendo di più le forze vive della città – avremmo probabilmente consolidato qualche risultato concreto. Il fallimento delle grandi operazioni, sovrapposte (e non proposte) alla città, ci riporta invece sempre al punto di partenza.
    Non è che se non si fa così occorre per forza consolarsi con il vernacolo. Con fantasia, intuizione e voglia di fare si possono comunque realizzare iniziative pregevoli. Forse potrà essere un esempio l’evento musicale “Sax, Winds, and Bits: strumenti e musica del presente” previsto per la fine di ottobre (https://www.frontierarieti.com/wordpress/?p=13320). Gli artisti sono tutti di notevole spessore (basta cercare sul web), il progetto culturale e musicale è forte, ma l’investimento è alla portata della città.
    Che sia un modo di guardare oltre lo steccato?

  7. Danilo Santilli

    Salve, vorrei portare una testimonianza e fare delle considerazioni riguardo all’acustica del teatro Vespasiano. Mi è capitato sia di ascoltare sia di fare musica sul palco del teatro. Mi ricordo un concerto dell’ACC. Naz. S. Cecilia con Chung direttore, forse 10 anni fa, che fece un “concerto-prova generale” prima di andare in tournè in oriente con il Requiem di G. Verdi. Qualcuno dell’entourage dell’orchestra chiese di usare una “stanza” di legno fatta portare da Perugia. Perché usarono questo espediente? Per far sentire ai musicisti e al coro se stessi e il suono che creavano. Il coro, l’orchestra e i solisti devono sentirsi per interagire, intonarsi e suonare bene. Quella “stanza” però servì solo a loro perchè per far sentire bene in platea il suono di una qualsiasi compagine strumentale-vocale c’è bisogno di pannelli che riflettano il suono (ce ne sono di diversa foggia). Così com’è il palco del Vespasiano, inghiotte (non riflette) buona parte del suono e proietta poco in platea. E’ un po’ come pensare a una chitarra, senza una cassa armonica le corde non danno molto suono. Se invece ci si sposta davanti, sul boccascena a 2 metri circa dalla buca dell’orchestra, allora c’è un buon ritorno sia verso il pubblico che verso i musicista stesso. Scatta allora la magia delle onde riflesse e delle pareti concave che hanno molti teatri costruiti in Italia, dal Palladio in poi. Forse Uto Ughi si era beato di quel suono sul boccascena, non di quello poco dietro che viene inghiottito dalle quinte e dal sipario di stoffa assorbente.
    Ho assistito al concerto dei “Carmina Burana” e infatti c’era un buon suono in platea, perché coperta la buca dell’orchestra si è spostato tutto più avanti. Rimando più sotto una piccola provocazione.
    Per quanto riguarda il Festival forse basterebbe chiamare gli eventi per quello che sono. Gli eventi-concerto-opere di gruppi di studio, anche eccellenti gruppi di studio, sono laboratori, saggi finali di un percorso formativo. I grandi eventi invece si preparano con mesi di sinergie di maestranze varie e di strumentisti che studiano e suonano un determinato tipo di musica. Le orchestre sono organismi “umani” e devono suonare insieme molto per dare il meglio. Ma nn solo, mi ricorderò sempre Sinopoli che quando venne al teatro dell’opera di Roma eseguì Wagner, “L’oro del reno”, in forma di concerto senza scene per poter avere più soldi da usare in prove con l’orchestra. Organizzo’ anche prove aperte con i conservatori e le scuole per spiegare ai ragazzi e agli strumentisti stessi cosa significasse drammaturgicamente ogni parte scritta sulla partitura.
    Provocazione: io darei una chance agli strumentisti della nostra provincia. Gli darei vitto, alloggio e diaria per una settimana e vorrei vedere cosa sanno fare.

  8. danilo santilli

    Per continuare sull’acustica del Teatro F. Vespasiano. Ho assistito all’opera Adina di G. Rossini, messa in scena il 28 settembre. Ho sentito la bella acustica del teatro verso la fine quando la protagonista finalmente è venuta avanti sul boccascena e ha cantato per due minuti nel punto magico del suono. In quel punto c’è il bel suono del belcanto.

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