Quale Francesco? Per Chiara Frugoni è quello del presepe di Greccio

Si è svolta nell’ambito dell’Ottobre Francescano Reatino la presentazione del volume “Quale Francesco” di Chiara Frugoni

Si è aperta ieri mattina con il pellegrinaggio dal santuario de “La Foresta” a quello di Fontecolombo la serie di eventi che caratterizzeranno l’Ottobre Francescano Reatino. L’occasione della festa del patrono d’Italia è infatti un’occasione propizia per guardare alla presenza di san Francesco a Rieti, ritrovare in quella esperienza il suo messaggio più autentico e recuperare quanto di questo ancora oggi suona utile e attuale.

Una prospettiva entro cui si è inserita alla perfezione la presentazione del libro Quale Francesco di Chiara Frugoni avvenuta nel pomeriggio. Una indagine sugli affreschi della Basilica superiore di Assisi che rivela la necessità, da parte del movimento francescano, di “adattare” la radicalità del fondatore a un successo che aveva riempito le comunità francescane di persone influenti e ambiziose, confinando ai margini i poveri e gli ignoranti.

Una serie di immagini che se non tradiscono del tutto la biografia di Francesco, lo pongono comunque nella prospettiva di alter ego di Cristo, facendone una figura che dunque non va imitata, ma ammirata. La svolta si ebbe con il generalato di Bonaventura da Bagnoregio. Nella Legenda maior dettò la versione “definitiva” della vita di Francesco, facendone una figura più divina che umana, come dimostravano le stimmate. Una interpretazione che giustificava l’aderenza al Vangelo del santo facendone un precursore, vissuto in tempi non ancora maturi perché il mondo lo seguisse. Quei tempi sarebbero giunti, ma solo Dio sapeva quando: nell’attesa il compito dei frati era quello di prepararsi, studiare e predicare, senza pretendere di attuare subito, prematuramente, il disegno divino prefigurato da Francesco.

Gli affreschi arrivarono proprio per affermare con le immagini questa visione, affiancata dalla decisione del Capitolo generale di distruggere tutte le Vite precedenti. Una misura cui sopravvissero solo pochissimi manoscritti, riscoperti fra Otto e Novecento.

Quando la Basilica superiore di Assisi fu affrescata, la povertà era più un simbolo che una pratica di vita: i frati vivevano in spaziosi conventi anziché dormire in strada, comodi sandali avevano sostituito i piedi scalzi e nessuno parlava più di guadagnarsi da vivere lavorando. Lo spirito di Francesco, dell’uomo tormentato e del suo progetto di assoluta povertà, di totale adesione al Vangelo, metteva in imbarazzo ciò che l’Ordine era ormai diventato.

Ma qualcosa di quello spirito autentico si può ancora avvertire nella Valle santa reatina, nell’esperienza del presepe di Greccio, nell’atmosfera dei santuari che circondano Rieti.