Chiesa di Rieti

Perdonare non è il contrario della giustizia…

A Roccaberardi di Pescorocchiano la sentita solennità di Maria Vergine e San Paolo è stata vissuta con una celebrazione all'aperto presieduta dal vescovo Domenico

Festa estiva diversa dal solito, a Roccaberardi, come in tutta la nostra diocesi. La solennità di Maria Vergine e San Paolo è stata vissuta con una celebrazione all’aperto, tenendo conto dell’opportuno distanziamento e delle norme in corso per fronteggiare la situazione epidemica.

Nella piccola frazione di Pescorocchiano è arrivato anche il vescovo Domenico che ha celebrato la Santa Messa alla presenza delle autorità locali.

«Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno come io stesso ho avuto pietà di te? Il re sdegnato mette con le spalle al muro il satrapo a cui aveva condonato milioni di euro, mentre lui si era rifiutato di perdonare un suo sottoposto per poche migliaia di euro», ha detto monsignor Pompili durante l’omelia, citando la parabola di Matteo, dietro la quale «si fa strada una questione rimossa dalla ricerca psicologica e psicoanalitica più recente mentre è fondamentale per capire chi siamo anche perché lasciare che l’altro mi perdoni, non è meno difficile del perdonare».

«Ovviamente va chiarito che cosa non è perdonare. Perdonare non è il contrario della giustizia. Questa è esteriore e quello è interiore. Per questo è possibile ottenere giustizia senza perdono, e perdono senza giustizia. Il perdono non è la riconciliazione, cioè non implica necessariamente l’incontro con l’offensore che può esserci o non esserci. Il perdono non è la vendetta evidentemente che costituisce un ‘regolamento di conti’ che non pacifica, ma produce spesso rancore, odio, che tendono a far aumentare la pressione sanguigna, gastriti, ulcere. Ancora, il perdono non coincide con la perdita della memoria. Può convivere il perdono, cioè, con l’impossibilità di dimenticare che è un fatto involontario e che non si può rimuovere».

Ma in che consiste il perdono se non è la giustizia, né la riconciliazione, né la vendetta, né la perdita della memoria?

«Consiste nel diventare sempre meno motivati alla vendetta verso chi ci ha ferito, sempre meno motivati ad estraniarsi da essa, sempre più motivati a essere benevolo e conciliatorio nei suoi confronti», ha concluso il vescovo.

«Il perdono non è un atto obbligatorio e neanche solo reattivo come la vendetta, ma un atto libero che appartiene all’orizzonte dell’amore e che restituisce gioia, pace, serenità. Col perdono, insomma, si vive più intensamente e si sperimenta un senso di liberazione; al contrario, del perdono negato, in cui la persona rimane prigioniera del risentimento, del risentimento, delle recriminazioni che assorbono tempo ed energia, occupando la mente senza trovare sollievo. Sono proprio la serenità psicologica ed emozionale e il proprio stato di salute fisica che possono far maggiormente le spese della nostra incapacità di perdonare. Vivere stabilmente dentro di sé sentimenti intensi d’ira, di rivendicazione e di ostilità non potrà non avere un impatto negativo sulla propria salute. Ecco perché Gesù ammonisce Pietro che gli chiede quante volte dovrà perdonare con la seguente affermazione: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settante volte sette».