Parrocchie, sveglia!

Il comodo criterio dell’inerzia e dell’abitudine deve essere abbandonato. Il mondo è cambiato, le persone pure, non si può gestire una parrocchia oggi con gli stessi criteri di dieci o venti anni fa.

Molti commentatori hanno già fatto scorrere il loro prezioso inchiostro per analizzare l’Esortazione Apostolica del Papa “Evangelii Gaudium”. Ma alcuni passaggi, pur veicolati con molto tatto pastorale e paterno, non sembrano da poco, forse sono i meno importanti, ma molto interessanti. Intanto la gioia come approccio semplice alle piccole cose della vita; da qui tutta una parte sull’economia che sarebbe interessante analizzare, in linea con l’insegnamento tradizionale della Chiesa.

Quanto agli aspetti più pastorali il Papa cita documenti già pubblicati ma li collega in modo originale e proprio, mostrando di conoscere bene la Chiesa, e offre giudizi molto garbati ma pesanti.

La Parrocchia: «realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi».

Le parrocchie così come sono organizzate e gestite non funzionano più. I servizi ecclesiali sono gestiti spesso allo stesso modo di altre agenzie che la rendono separata dalla gente, quindi avulsa e non significativa, che parla di cose e fa cose che sono indifferenti al vivere quotidiano delle persone reali.

La risposta la dà subito dopo, a chi potrebbe dire che è sempre stato così: «La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità».

Il comodo criterio dell’inerzia e dell’abitudine deve essere abbandonato. Il mondo è cambiato, le persone pure, non si può gestire una parrocchia oggi con gli stessi criteri di dieci o venti anni fa.

Perfino alcuni gruppi o movimenti sono ormai fuori moda. Il Papa li elogia, ma mette anche in guardia i credenti: «Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale». Questa differenza e specialità spesso è copiata dal clero, che ha enfatizzato la propria posizione in ragione della consacrazione nel sacramento dell’Ordine: «Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale “ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri».

Non c’è superiorità degli uni verso gli altri, la dignità è uguale per tutti perché viene dal Battesimo, anche se cambiano le funzioni. Il prete non è in cima a tutto il resto!

Parole che servono a ridimensionare un modo di concepire il sacerdozio che non corrisponde al vero e che rischia di rendere lo stesso sacerdozio ridicolo e anacronistico non solo ai lontani ma anche a chi è dentro la Chiesa.

A volte questo modo di concepire il servizio del prete si rende molto visibile nell’omelia, a cui Papa Francesco dedica parecchi paragrafi: «Di fatto, sappiamo che i fedeli le danno (all’omelia) molta importanza; ed essi, come gli stessi ministri ordinati, molte volte soffrono, gli uni ad ascoltare e gli altri a predicare. È triste che sia così».

Quando diventa l’occasione per rimproveri, per trattazioni sociologiche molto discutibili, per analisi politiche a cui non si può replicare, per interpretazioni del Vangelo che sembrano capestri, è una sofferenza per chi ascolta e per chi predica, ma più per chi ascolta, lo possiamo garantire a Sua Santità.

La riforma della Chiesa è cominciata, ma sarà dura e si protrarrà per lungo tempo!