Omelia per la dedicazione della Cattedrale 2012

Omelia del vescovo di Rieti Mons. Delio Lucarelli in occasione della solennità della Dedicazione della Cattedrale di Rieti. 9 Settembre 2012.

“Lo spirito mi prese e mi condusse nell’atrio interno”

Carissimi sacerdoti e diaconi,

fratelli e sorelle.

Questa domenica del tempo ordinario, qui nella Basilica Cattedrale, cede il posto alla solennità della Dedicazione di questa chiesa, che è madre di tutte le chiese della diocesi reatina.

In questa occasione noi diamo avvìo all’anno pastorale che sarà, vogliamo sperarlo e impegnarci perché ciò avvenga, ricco di eventi e di occasioni per l’evangelizzazione.

Ci stiamo preparando alla celebrazione vera e propria del Congresso Eucaristico diocesano e all’apertura dell’anno della Fede voluto dal Santo Padre.

È quasi pronto per essere dato alle stampe il documento conclusivo della Visita Pastorale che porta il titolo “Alle Querce di Mamre” con cui darò anche precise indicazioni sull’attività delle parrocchie sia sul piano amministrativo che pastorale.

Il futuro che ci attende è molto impegnativo e può essere ricco di opportunità per una rinnovata evangelizzazione, come dicevo poc’anzi, ma molto dipenderà dagli obiettivi che ci diamo e dal modo di lavorare che decideremo di adottare, soprattutto dalla coralità non solo delle scelte, ma anche dell’impegno che ognuno metterà per il servizio alla nostra Chiesa.

Mi colpisce questo versetto della prima lettura che narra la visione di Ezechiele: lo spirito prende e conduce nell’atrio interno del Tempio, quello al fondo del quale si trovava il Santuario vero e proprio.

E il profeta si lascia condurre, si lascia coinvolgere.

Vorrei andare oltre la pura interpretazione del versetto e la sua contestualizzazione biblica.

Se consideriamo il Tempio come figura in qualche modo della Chiesa, anche di questa nostra Chiesa locale, noi possiamo vedere che vi sono vari modi, una diversa intensità di partecipazione alla vita ecclesiale, un po’ come nel Tempio di Gerusalemme vi erano vari àmbiti e ambienti, dal più esterno al più interno, ai quali potevano accedere le diverse categorie di persone: dal cortile dei Gentili al Sancta Sanctorum.

Questa immagine dell’atrio interno mi suggerisce una dimensione più spirituale e anche ecclesiale.

Essere condotti nell’atrio interno vuol dire andare al cuore della dimensione religiosa: intanto una più radicale appartenenza, che vada dall’esterno a all’interno, dalla superficialità alla profondità.

Una appartenenza a Dio, anzitutto, una identificazione maggiore a Cristo, alla sua persona e al suo messaggio: qui sta il fondamento di ogni progetto e attività pastorale. È difficile, ma è l’unica via!

L’atrio interno è l’intimità più vera e autentica del nostro rapporto con Dio, di noi sacerdoti e operatori della pastorale, e di tutto il popolo di Dio.

La nostra esperienza religiosa non si può esaurire alla periferia, chiamiamola così, della partecipazione alla vita della Chiesa, coltivando ciascuno il suo piccolo spazio di attività e di lavoro, ma è necessario avere una visione globale andando, però, al cuore dei problemi.

Ecco: l’atrio interno sta ad indicare il cuore dell’esperienza spirituale, ma anche il cuore dei problemi. E solo chi ha una forte dimensione spirituale, religiosa, ha anche una spiccata sensibilità per i problemi della Chiesa e del popolo di Dio.

Con l’Anno Eucaristico, che si concluderà con il Congresso Eucaristico diocesano, noi abbiamo voluto riportare in primo piano la vera identità spirituale di un popolo, che ha nel Corpo del Signore la fonte primaria di ogni altra attività e appartenenza.

L’Eucaristia ci riporta a quell’«atrio più interno» della nostra fede, a quella intimità profonda con il Signore che poi deve farci gridare la fede dai tetti e soprattutto deve aiutarci a declinare questa fede nelle varie circostanze. L’anno della Fede, anche secondo alcune indicazioni che ha diramato la Santa Sede, dovrà prevedere specifici momenti di approfondimento e di formazione.

Molte delle nostre parrocchie svolgono un’attività notevole in campo catechistico e formativo, ma questo non basta se manca una chiara dimensione caritativa: dopo essere andati al cuore della fede, dobbiamo andare al cuore dei problemi; il cuore dei problemi del nostro tempo è dato dalle difficoltà delle famiglie e dei giovani, come ho detto più volte, e la nostra attenzione si deve focalizzare proprio lì.

Le nostre comunità, anche quelle più vivaci, rischiano di sfaldarsi se la cellula primaria della società e dunque della Chiesa si consuma sotto lo sguardo mesto e impotente di tutti noi, o se lasciamo che i nostri giovani siano abbandonati a se stessi, senza proporre loro valide e accattivanti alternative.

L’aiuto alla famiglia e ai giovani si attua anzitutto ascoltando queste realtà e ciò che hanno da proporre, evitando di snocciolare semplicemente i loro doveri di fronte alla società e alla Chiesa:

anche questo significa andare al cuore dei problemi, cioè nell’atrio più interno del santuario!

A volte il timore di non essere ascoltati o di non essere seguiti ci induce a parlare di meno o a fare di meno: nella evangelizzazione un conto è non parlare per ascoltare e un conto è non parlare per disinteresse, indifferenza o scoraggiamento.

Il cardinale Martini, recentemente scomparso, in una sua lettera pastorale dal titolo “Alzati, va’ a Ninive, la grande città”, scriveva: “Evangelizzare non significa necessariamente far cristiani tutti gli uomini né far tornare in chiesa tutti i battezzati e in particolare quelli che ci andavano e hanno smesso di andarci. Gesù ha evangelizzato bene anche a Nazaret e a Corazin o a Betsaida, dove la sua parola non è stata accolta. – Prosegue Martini –

Evangelizzare significa anzitutto promulgare la buona notizia con fatti e parole e attuare l’annuncio così che sia possibile, a chiunque abbia buona volontà, poter cogliere la buona notizia nelle sue forme più genuine ed autentiche, e quindi approfondirla e, se lo decide, accoglierla”.

“Il Padre cerca tali adoratori”

Abbiamo riascoltato nel brano del Vangelo questa frase: il Padre cerca tali adoratori, cioè chi adora in spirito e verità.

Vorrei soffermarmi su questo elemento: il Padre cerca gli adoratori.

Troppo spesso noi operatori dell’annuncio pensiamo che debbano essere gli adoratori a cercare il Padre; in parte è così. Chi cerca Dio si fa avanti, trova le occasioni, ma anche qui, al di là del significato esegetico, direi che potremmo interpretare questo versetto in modo pratico:

cosa facciamo noi per andare a cercare gli “adoratori”? Offriamo semplicemente dei servizi ecclesiali, come la catechesi, le omelie, pur importanti, o abbiamo il coraggio di proporre, anche a rischio di fallimento, qualcosa di attraente?

Anche qui il cardinale Martini, nello stesso documento, elenca alcuni modi di evangelizzare: per proclamazione, per convocazione, per attrazione, per irradiazione, per contagio, per lievitazione.

Sarebbe interessante analizzarli uno ad uno, ma non ci è possibile. Ci basti considerare che spesso noi ci limitiamo ai primi due: proclamiamo e convochiamo, ma siamo poco inclini ad attrarre, a irradiare, a contagiare e a far lievitare.

Dobbiamo avere il coraggio di passare da una “parrocchia come cura delle anime a una parrocchia missionaria” e “da una catechesi per la vita cristiana a una catechesi per l’evangelizzazione”.

Direi che ciò può avvenire solo a partire da alcuni presupposti: il calore umano e la simpatia, quell’affabilità con tutti che è veramente contagiosa, come hanno fatto i nostri Santi; l’entusiasmo per ciò che siamo ed annunciamo, senza lamentele e disperazione; la gioia, nonostante le difficoltà e le infedeltà; ma anche una particolare conoscenza del mondo e dei problemi del nostro tempo unita ad una cultura ad ampio raggio che sappia rigenerarsi e aggiornarsi.

Soprattutto dobbiamo evitare almeno due atteggiamenti: quello rinunciatario e quello minimalista.

Il primo ci induce a dire che le cose non cambieranno mai e in qualche modo è la conseguenza di questa convinzione.

Il secondo ci spinge a dire che noi facciamo quel minimo che abbiamo sempre fatto senza stare troppo a lambiccarci il cervello sul da farsi.

Possiamo fare molto, dare molto alla nostra gente, al popolo santo di Dio, ma dobbiamo avere anche il sano coraggio di metterci in discussione, per rinnovarci e crescere.

Non rifiuterò significative e praticabili proposte in tal senso, purché siano animate da sincero spirito di collaborazione.

In questo anno della Fede questo è l’impegno: cercare gli adoratori e dunque andare al cuore dei problemi, nell’atrio del Tempio.

Sia lodato Gesù Cristo!