Obbediente e disobbediente

È il profilo di Igino Giordani che emerge dalla ricerca di Tommaso Sorgi

“Assurdità, stupidità e sopra tutto peccato, (…) operazione fatta contro il popolo”. A cento anni dallo scoppio della Grande Guerra queste parole di Igino Giordani (1894-1980) ci ricordano cose che molti avrebbero preferito non fossero ricordate: per esempio il coraggio duplice di quei cattolici che pur rifiutando quella che Benedetto XV chiamò “l’inutile strage”, ubbidirono alla patria senza tentativi di imboscamento. Un documentato lavoro (anche per la sua conoscenza personale e per la comune militanza, in politica e nel movimento dei Focolari: il libro si ferma proprio alle soglie dell’incontro con Chiara Lubich) di Tommaso Sorgi, “Igino Giordani, storia dell’uomo che divenne foco” (Città Nuova, 411 pagine) ha ora il merito di ricordare non solo l’ubbidienza di Giordani alle leggi dello Stato, ma anche la sua temerarietà nei confronti del nascente fascismo, cui si oppose tenacemente, rischiando in prima persona ed esponendosi a processi e a richieste di confino, da cui lo salvarono le sue benemerenze di guerra: era rimasto tra l’altro gravemente ferito riportando una permanente invalidità. La ricerca di Sorgi ha il pregio di aver documentato, contro la parzialità e la scarsa informazione di molti, che i cattolici e la Chiesa sono stati il principale bersaglio delle squadracce fasciste durante il periodo della presa del potere di Mussolini. Giordani, nonostante avvisi e intimidazioni, continuò a sfidare il regime in modo aperto, sia con l’adesione al Partito Popolare, sia con i suoi articoli e i suoi discorsi che gli valsero l’allontanamento dall’insegnamento e l’isolamento: “Resistere: non cedere una spanna, non ammettere un compromesso. (…) La paganità spirituale e politica dovrà spezzarsi, ai piedi della nostra fermezza muta. Occorreranno forse anni (…), ma di chi sa resistere e penare è la vittoria”, questa potrebbe essere la cifra della lotta di Giordani contro i nuovi idoli, tanto che alcuni hanno paragonato la sua figura a quella di Chesterton.

Giordani appare in questo libro come un protagonista della scena italiana del Novecento, non solo perché dopo la liberazione fu eletto nella Costituente, divenne deputato nelle file della Democrazia Cristiana e diresse “Il Popolo”, ma perché scrisse romanzi, saggi, articoli nei quali elaborava una linea precisa: la resistenza contro le tentazioni del cedimento e del compromesso con le nuove sirene ideologiche. Qui Sorgi ci mostra tutta la capacità di Giordani di “leggere” l’attualità, attraverso un continuo aggiornamento ma anche una non comune profondità nell’interpretazione delle idee e dei fatti. Non era solo un problema di passato recente (i totalitarismi di destra) e di attualità (la dittatura comunista in Russia), ma di fatti che lo scrittore considerava pericolosi per la sopravvivenza stessa del cristianesimo: i ricorrenti episodi in cui coalizioni apparentemente non a senso unico (liberali, socialisti, radicali, comunisti, anarchici ecc.) si erano rivelate portatrici di un messaggio anticristiano e apertamente persecutorio, come in Spagna o in Messico negli anni Trenta. Giordani riconosce le colpe di un cristianesimo talvolta confinato nel rito e nella tentazione dell’autoreferenzialità, ma non fa concessioni. Il suo sguardo critico investe elementi del pensiero occidentale con i quali alcuni cattolici ritenevano (e non del tutto a torto) di poter istituire un confronto, come l’idealismo crociano, il che segnò qualche punto di distanza con alcuni compagni di strada, come don Giuseppe De Luca. Giordani non soffriva di complessi di inferiorità: attingeva direttamente alle fonti evangeliche, ad alcuni padri della Chiesa, soprattutto Giustino e Tertulliano, ed era perciò vaccinato contro l’ansia di essere al passo dei tempi. Il suo modello era fuori da ogni tempo, perché era il creatore del tempo stesso, un creatore insieme Ragione e Amore: come amava dire, “l’amore è l’anima di Dio in noi”.