Michetti il rivoluzionario

Di sicuro lo è con “La processione del Corpus Domini a Chieti” e “Il Voto”

Era il 1877 quando nell’Esposizione di arte di Napoli, un giovane pittore abruzzese di appena ventisei anni, il cui nome era Francesco Paolo Michetti, presentò un dipinto ‘rivoluzionario’: “La processione del Corpus Domini a Chieti”. Il quadro destò subito giudizi contrastanti e, a fronte di aspre critiche, come quelle di Adriano Cecioni, artista affermato che lo aveva definito totalmente mancante di prospettiva, ci furono vivi apprezzamenti, come quelli del noto mercante d’arte Goupil che cercò di acquistarlo a tutti i costi. Il dipinto fu invece donato alla contessa De La Field ed oggi è custodito in collezione privata.

Ma perché questo dipinto era considerato così rivoluzionario? Anzitutto per il soggetto: si trattava di una processione religiosa, quella del Corpus Domini. Michetti, piuttosto che rappresentare l’evento mistico colto nel suo pathos e senza cadere in un edulcorato e rasserenante soggetto di genere, inquadra l’evento nella sua dimensione rituale e terrena. Il dipinto è concepito come una complessa macchina scenografica dove la prospettiva è mutata rispetto agli schemi classici.

Il Duomo di Chieti, dalla enorme facciata romanica, funge da quinta architettonica mentre lungo la scalinata, che pare voler fuoriuscire dal quadro stesso, si muove il corteo religioso. Sotto un ampio baldacchino di seta a righe bianche e gialle, è posto il sacerdote officiante intento nel recitare le lodi del messale, aulico e sontuoso con la pisside ed un fulgido piviale; tutt’intorno si muove il popolo festante. Meravigliosa è l’attenzione del Michetti nella riproduzione dei costumi e degli atteggiamenti ripresi con precisione quasi fotografica: al sorriso allegro della madre con i bambini in primo piano, fa eco lo scoppio fumoso e colorato dei mortaretti nel cielo ed il lancio variopinto dei fiori lungo strada. Domina un’atmosfera febbrile quasi profana, poiché la festa religiosa diviene festa popolare, secondo gli usi e costumi tipici di un mondo rurale, dove la presenza del divino è presenza gioiosa e vivificatrice. Alcuni critici definirono il dipinto come una festa degli occhi, fresca e spontanea.

Francesco Paolo Michetti avrà una vita costellata di successi, significative sono infatti le frequentazioni con il conterraneo Gabriele D’Annunzio, del quale traduce in pittura il famoso racconto “La figlia di Jorio”; nel 1909 sarà poi nominato Senatore del Regno. Ma resterà sempre legato al territorio abruzzese di cui sarà un attento osservatore, rappresentando in magnifiche e apprezzatissime tele gli usi, i costumi, i riti di una civiltà legata al ritmo ed alle cadenze della terra come si vede in opere “Le serpi” e “La raccolta delle Zucche”.

Nel 1883 all’Esposizione Internazionale d’Arte a Roma espone “Il Voto”, una tela di grandi dimensioni in cui viene rappresentata la festa in onore di San Pantaleone, protettore di Miglianico. In un’atmosfera plumbea, appena rischiarata dalla luce dei ceri, contadini e contadine strisciano su un pavimento sporco di polvere per raggiungere il busto d’argento del santo. È impressionate la resa dal vero della postura di quei personaggi, come dimostra l’attento e meticoloso studio delle articolazioni dei piedi, la cui trazione genera la spinta sul pavimento. L’abbraccio liberatorio al santo dimostra inoltre il rapporto ‘fisico’ che lega questi personaggi al loro protettore e dispensatore di grazie. “Il Voto” non è solo la cruda rappresentazione di una processione religiosa, ma il racconto di un rito popolare che diventa descrizione della vita e, per dirla con le parole di Primo Levi, “è in questo contrasto di sentimenti, un contrasto di figure, di atteggiamenti, di espressioni, di volti, di costumi, pieno d’armonia; una linea complessa, ma fusa; un ambiente che è veramente come deve essere, la folla nella chiesa, tutta prima confusa e indistinta allo sguardo, poco a poco evidente”.