Non vogliamo la Chiesa!

Rieti, corteo di studenti il 14 novembre con striscioni, per lo più della CGIL, e dibattiti sui problemi della scuola, soprattutto, e del lavoro, di quello che non c’è e di quello che non ci sarà nel futuro.

Ma quando il corteo passa sotto il Vescovado le grida hanno un altro bersaglio: «non vogliamo la Chiesa!», strilla qualche giovane. Non sappiamo se fossero al seguito di qualche aspirante politico che non disdegna di ricoverarsi in cliniche “vaticane”, quando gli fa comodo, invece che in quelle pubbliche dello Stato italiano.

Non importa. La povertà economica dell’Italia e della provincia di Rieti è la naturale conseguenza di una povertà culturale ormai incolmabile e inguaribile, perché qualunquista e anacronistica, soprattutto priva di argomenti e di idee, di progetti politici lungimiranti e seri.

Ma è anche la conseguenza di una scuola assi poco selettiva, voluta così dall’alto ormai da due lustri e più. Chiunque viene promosso e pretende di avere un posto in questa società complicata e ostile, pure se non sa niente e non sa fare niente, ma soprattutto non ha niente di meglio da dire che tirare “do cojio, cojio”.

Si prova non solo sconcerto e pietà, nei confronti di costoro, ma soprattutto sincero stupore per il modo con cui – è il caso di dirlo – si “spara sulla croce” per cercare altri capri espiatori e deviare l’attenzione su ciò che non rappresenta il vero problema.

Molti di quei giovani che non vogliono la Chiesa, che sono stati da essa allevati e cresciuti non solo spiritualmente ma anche umanamente, che hanno partecipato ai campi scuola, che hanno ricevuto i Sacramenti, che sono stati consolati da un prete quando è morta una persona cara, che hanno bussato magari alla porta della canonica per ricevere una parola di conforto in merito alla separazione dei genitori, sono anche i figli di politicanti reatini che sono stati la vera causa della distruzione economica e culturale di questo territorio, per la loro incapacità di governare, non solo la città e la provincia, ex provincia pardon, ma più ancora di governare il cambiamento.

Purtroppo le loro urla non sono da leggere né come insulti, né come rispettabili idee, ma come grida di aiuto di “ricchi epuloni” per i quali, però, non sembra esserci più niente da fare.

Riposino in pace!