Mons. Robu: per la Romania Ue vuol dire libertà e sviluppo. Ma si rispettino le diversità

L’arcivescovo di Bucarest, presidente della Conferenza episcopale romena, analizza la difficile fase che l’Unione sta attraversando, e subito ribadisce il “valore aggiunto” che essa rappresenta per il suo Paese. Quindi osserva: “La Chiesa accompagna, in modo attivo, il cammino dell’Europa unita”. Nel processo di integrazione i cristiani dovrebbero avere “una voce chiara nel promuovere la dignità trascendente della persona umana”. Occorre “riscoprire i valori che accomunano i nostri popoli”

“Nel suo discorso ai capi di Stato e di governo dell’Ue, nel marzo scorso, Papa Francesco parlava di unità delle differenze e unità nelle differenze, e ricordava che i Padri fondatori ponevano l’accento sul fatto di mettere in comune le risorse e i talenti di ciascuno. Ecco, credo che l’Europa dovrebbe riscoprire di essere una comunità di persone e popoli, e che ciascun Paese membro dovrebbe allargare lo sguardo, per vedere un bene più grande che porta benefici a tutti”. Mons. Ioan Robu, arcivescovo di Bucarest e presidente della Conferenza episcopale di Romania, riflette con il Sir a partire dal titolo – “(Re)thinking Europe” – assegnato al dialogo in Vaticano, promosso da Comece e Santa Sede.

Un “dialogo” voluto dalla Chiesa cattolica per “ripensare l’Europa”. Siamo ancora in tempo – nonostante la crisi in atto – per rilanciare il progetto per un’Europa unita, pacificata, solidale, aperta al mondo? Come riconquistare la fiducia dei cittadini europei?
Sì, credo fortemente che il progetto europeo possa e debba essere rilanciato. E i momenti di crisi non devono scoraggiarci, anzi, dovremmo valorizzarli come opportunità per guardare indietro, vedere quanta strada si sia già percorsa, identificare ciò che ci ha allontanati, forse, dal nostro cammino, e ripartire con più grinta verso la meta, la quale non è un punto di arrivo, bensì un tragitto da compiere insieme. È vero che la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee sta calando. In Romania, per esempio, se la fiducia era del 67% al momento dell’entrata del nostro Paese nell’Ue, dieci anni fa, adesso è del 48%. E credo che sia, prima di tutto, un problema di identità. Nessuno nega i vantaggi che l’appartenenza all’Ue ha portato ai cittadini romeni e allo sviluppo del nostro Paese, però tanti fanno fatica ad identificarsi con l’attuale progetto europeo, che tende verso un appiattimento culturale e a imporre un certo identikit di cittadinanza europea. L’Europa non è una somma di norme da osservare o da imporre, né un manuale di procedure da eseguire.

È fatta di popoli, e dunque credo che bisogna rimettere al centro l’uomo e la sua dignità trascendente e inalienabile,

valorizzare insieme la bellezza e la ricchezza dell’unità nella diversità delle culture e tradizioni. Bisogna riscoprire insieme i valori che accomunano i popoli europei, a partire dalle radici cristiane del continente e dai pilastri sui quali i Padri fondatori hanno edificato la Casa comune europea: oltre alla centralità dell’uomo, la solidarietà, la ricerca della pace e del bene comune, l’apertura verso il mondo e il futuro. E credo anche che un ruolo importante per rilanciare il progetto europeo e accrescere la fiducia nelle istituzioni europee lo abbiano la scuola e i mass-media.

In Europa abbiamo visto sorgere nuove barriere, il Regno Unito ha fatto un passo indietro, la Catalogna vuol dividersi dal resto del Paese, sperimentiamo un ritorno dei particolarismi. Come giudica questi fatti?
Noi romeni veniamo da una storia recente che ci ha visti chiusi, isolati dal resto dell’Europa e del mondo, per quasi 50 anni. E la prima cosa che i romeni hanno apprezzato dopo la caduta del regime di Ceausescu è stata la libertà, in particolare la libertà di circolazione. Dal 2007, da quando siamo parte dell’Unione, l’Europa è diventata anche la nostra casa. Da noi ci sono ancora dei villaggi dove la gente non chiude a chiave le porte di casa: c’è fiducia gli uni negli altri. Le barriere che facciamo sorgere intorno a noi, come persone, comunità etniche, Paesi, sono segno di sfiducia, che ci fa guardare l’altro non più come un fratello, bensì come una minaccia.Sembra un paradosso il fatto che in un tempo nel quale i Paesi dell’Europa cercano di (ri)costruire insieme una casa comune, al loro interno ci siano segni di frammentazione.Dico questo pensando alla Catalogna, ai recenti referendum consultivi convocati in Italia dalle Regioni Lombardia e Veneto, alle voci che in Romania vorrebbero autonomia per una regione con popolazione a maggioranza di etnia magiara. Quando alziamo muri visibili, li abbiamo prima fatti sorgere nel nostro cuore: muri di sfiducia, di risentimento, anche di odio. Bisogna aprirsi e cercare vie di dialogo che portino a un’armonia costruttiva, libera da egemonie distruttive, a una convivenza pacifica, alla ricerca del bene comune.

Quale rapporto ci può essere tra identità – storica, culturale, religiosa – e costruzione politica di una grande “casa comune”?
Questa domanda è molto importante. Infatti i cittadini dell’Unione europea dovrebbero vedere con i loro occhi, oppure dovrebbero essere aiutati a vedere concretamente, che i valori comuni (effettivi, concreti, “oggettivi”), partendo da Bucarest e attraversando tutta l’Europa fino a Londra, sono molto più numerosi rispetto alle differenze tra i popoli europei. Fra l’altro viviamo insieme all’interno di un spazio geografico animato da due millenni di cristianesimo…

Ora credo che sia arrivato il momento per ricostruire un’Europa unita e solidale

puntando più su ciò che unisce piuttosto che su quello che ci divide, e guardando le differenze come una ricchezza anziché un pericolo per l’identità dei singoli popoli.

La Romania ha fatto ingresso nell’Unione dieci anni fa. Cosa ha significato questa esperienza per il suo Paese?
L’ingresso della Romania nell’Unione europea ha portato con sé tanti vantaggi per i cittadini romeni. E penso alla libera circolazione, che ha favorito anche la possibilità, soprattutto per i giovani, di frequentare diverse università dell’Europa, di fare esperienze lavorative in varie società europee, di arricchirsi culturalmente. Certo, questa libertà e la ricerca di una vita migliore hanno favorito un’emigrazione che ci preoccupa, come nazione e come Chiesa.Un altro vantaggio è lo sviluppo economico, favorito dagli aiuti che la Romania ha ricevuto dall’Unione.Poi, penso alla giustizia, e in particolare al ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo (che dipende dal Consiglio d’Europa), la quale costituisce in qualche modo una garanzia per il rispetto dei diritti umani, fra cui la libertà di religione. Noi stessi, come Chiesa, ci siamo appellati alla Corte europea di Strasburgo quando non abbiamo trovato giustizia nel nostro Paese: l’arcidiocesi di Bucarest, nel caso del gigantesco palazzo illegale costruito vicino alla cattedrale di san Giuseppe; varie parrocchie greco-cattoliche, nei casi della negata restituzione dei loro edifici di culto.

Quali, invece, i problemi che lei ha riscontrato?
Dall’Unione europea ci aspettiamo una maggiore sensibilità verso le culture che la compongono. L’Europa non sarà unita imponendo ai Paesi membri, sotto l’influsso del laicismo anticristiano, norme contrarie alle loro abitudini e alla loro cultura. E penso alle pressioni che si fanno sulla Romania, per esempio, per “allargare” la definizione della famiglia, o per equiparare le unioni di fatto o le unioni omosessuali alla famiglia naturale, per imporre la teoria del gender…  Come dicevo, l’unità dell’Europa è un cammino da fare insieme, nel rispetto delle differenze.

Il Papa è tornato tante volte a parlare di Europa, incoraggiando il cammino dell’Ue. La Chiesa quale ruolo può svolgere in questo senso?
La Chiesa accompagna, in modo attivo, il cammino dell’Europa unita. Oggi come oggi la Chiesa dovrebbe essere una voce chiara, semplice e diretta nel promuovere la dignità trascendente della persona umana nella società europea.

Papa Francesco è l’uomo giusto arrivato al momento giusto.

Preghiamo affinché, con l’aiuto della Madonna e dei santi patroni dell’Europa, possa infondere ai cristiani di tutte le denominazioni coraggio e determinazione nel ricostruire insieme un’Europa unita e aperta. I nostri tempi sono altrettanto difficili come i tempi che ha vissuto il santo Giovanni Paolo II. Allora un certo mondo entrava in dissoluzione; oggi il nostro mondo sta rinascendo. La rinascita e la morte sono momenti dolorosi, ma allo stesso tempo pieni di speranza.