Chiesa di Rieti

Lavanda dei piedi: provocazione e indicazione

Nell'omelia del Giovedì Santo, il vescovo Domenico invita a cogliere l'assenza di ritualità e il richiamo alla vita concreta che questa emergenza ci spinge a fare

Giovedì Santo: dal brano evangelico della lavanda dei piedi una provocazione e un’indicazione.

Le ha volute proporre il vescovo Domenico nel celebrare in Duomo a porte chiuse, e parlando ai fedeli attraverso la diretta streaming, la Messa in Cœna Domini. Un rito “ridotto”, come tutti quelli di questo “tempo sospeso”, in cui monsignor Pompili ha voluto cogliere un preciso messaggio, partendo dal testo dell’evangelista Giovanni, il quale, in una scansione cronologica diversa dai sinottici, colloca temporalmente la morte di Cristo in croce nell’ora stessa in cui nel tempio si immolavano gli agnelli, e perciò «non descrive l’Ultima cena di Gesù come una cena pasquale: ma proprio per questo Gesù è presentato come il vero agnello pasquale».

E dunque «non c’è più il simbolo, non c’è più il rito, ma c’è la persona stessa di Gesù».

Ed ecco il messaggio: «Questa assenza di ritualità per concentrarsi sull’esistenza di Cristo» può essere letta, in questo momento di impossibilità di vivere liturgie comunitarie, come «una provocazione e al tempo stesso un’indicazione per il nostro diventare cristiani».

La provocazione: «Il fatto che Gesù non chiama ad una nuova religione, ma chiama alla vita. Il cristiano non è un uomo religioso, ma un uomo semplicemente, come Gesù era uomo» e allora ciò che rende cristiani non è «qualche atto religioso» ma solo «la partecipazione alla sofferenza di Dio nel mondo».

L’emergenza di questo virus ci sta insegnando «a valutare gli uomini per quello che soffrono»: stare nell’amore di Dio significa saper «accorgersi della sofferenza dell’altro». A questo provoca la pagina giovannea: «Stiamo diventando capaci di ascoltare il grido dei sofferenti, il gemito dei moribondi, l’implorazione dei nullatenenti?».

L’indicazione: cogliere nella lavanda dei piedi non semplicemente «un esempio morale» da ammirare, quanto piuttosto «un esempio performante che spinge a procedere sulla strada della imitazione», secondo l’ammonimento del Maestro: Perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. È quella capacità di «chinarsi verso il basso» che permette di «ritrovare la strada della vita».

Solo così, ha concluso monsignore, potremo imparare qualcosa da questa crisi. Pensando a quando finirà, in tanti «dicono come un ritornello che nulla sarà come prima e che tutto cambierà. Ma se non avremo imparato da questa tragica vicenda a lavarci i piedi gli uni gli altri, a chinarci verso terra, molto probabilmente non cambierà nulla e dovremo prepararci con la crisi alla solita cocente delusione».

Proprio per questo «è così importante cogliere nell’ultima cena di Gesù una provocazione e un’indicazione per la nostra vita».