Chiesa di Rieti

Il ricordo e la preghiera per don Lorenzo

La fede nella risurrezione come tratto distintivo di una comunità che prega per un proprio fratello defunto: nel segno di questa fede l’intensa preghiera che ha raccolto diversi fedeli, ieri sera, in Cattedrale, attorno al feretro di monsignor Lorenzo Chiarinelli

La fede nella risurrezione come tratto distintivo di una comunità che prega per un proprio fratello defunto, ma anche come tratto distintivo di chi della comunità dei “risorti” è chiamato a essere pastore. Nel segno di questa fede pasquale l’intensa preghiera che ha raccolto diversi fedeli, ieri sera, in Cattedrale, attorno al feretro di monsignor Lorenzo Chiarinelli.

Alla vigilia della solenne liturgia esequiale, sacerdoti, religiosi, religiose e laici hanno voluto unirsi al vescovo Domenico nella veglia funebre, scandita dal canto di salmi di speranza, animati dalle voci di don Roberto e suor Giuditta, in alternanza con la meditazione offerta dalle parole della Scrittura e della sapienza cristiana: le parole di Paolo ai cristiani di Corinto, quelle di Gesù che raccomanda al Padre i suoi nella grande preghiera sacerdotale alla vigilia della Passione, e la riflessione sulla fede nel Cristo risorto contenuta nelle “Lettere” di san Braulione di Saragozza, vescovo spagnolo del VII secolo.

Prima di proseguire la meditazione con la lettura, proposta da don Paolo, delle parole scritte dallo stesso don Lorenzo in occasione dell’avvio del ministero episcopale a Rieti di monsignor Pompili, è toccato a quest’ultimo tratteggiare, nell’intensa omelia, la figura del confratello che nella terra nativa, in cui era tornato a risiedere da emerito di Viterbo, ha incontrato sorella morte.

E ha iniziato, don Domenico, col ricordare come Chiarinelli prediligeva un animale, come chiunque andasse a trovarlo nel suo studio poteva rendersi conto vedendone tanti oggetti di diversi materiali e dimensioni che lo raffiguravano: il gufo, o la sua “parente” civetta. Animali notturni che secondo il vescovo don Lorenzo aveva assunto come «simbolo di chi attraversa il buio della notte e non si lascia irretire dalle tenebre e sa arrivare fino all’alba». Proprio questo, per Pompili, «l’elemento fondamentale della vita di un vescovo»: il saper essere innanzitutto un «testimone della risurrezione».

«Prima che essere un manager, un organizzatore, un leader, un uomo del culto, un animatore della carità, è soprattutto uno che fa trapelare dalla sua vita questa fede nella risurrezione». Questo, a detta di monsignor Domenico, ciò che nel ministero del suo defunto confratello è singolarmente emerso: proprio «questa sua testimonianza nei riguardi della risurrezione».

Una caratteristica che secondo Pompili è da cogliere «in tre piccoli indizi». Il primo: il grande entusiasmo di Chiarinelli, «che non lo ha mai abbandonato neanche nella fase terminale, peraltro assai breve, che lo ha condotto alla morte. Don Lorenzo era un entusiasta e neppure il suo parlare confuso e disconnesso della malattia delle ultime settimane gli impediva di manifestare tale entusiasmo: «perché in fondo egli è sempre stato un entusiasta, cioè uno che aveva qualcosa di importante che gli nasceva da dentro che intendeva comunicare. Perciò egli è sempre stato un uomo di proposta: mai nelle sue labbra e nel suo modo di essere si coglieva rinuncia, e non perché i problemi non ci fossero davanti ai suoi occhi, ma perché lui era entusiasta, uno che sapeva trarre da dentro di sé questa fiducia che lo portava ad essere un uomo di proposta». Infatti, ha sottolineato don Domenico, «un pastore entusiasta è il contrario di un pastore rinunciatario».

Altra qualità che sta a testimoniare la «sua fede nella risurrezione»: la sua curiosità. «Una curiosità intellettuale che lo portava, da vero gufo o civetta, a dormire pochissimo, a divorare per tutta la notte di tutto di più, perché era come roso dentro da questa curiosità che diventava ricerca e che lo faceva capace di entrare dentro tutto quello che si muoveva nella società e anche nella Chiesa». Pompili ci ha tenuto a ricordare di Chiarinelli la singolare «vis intellettuale» che lo rendeva «non tanto un uomo colto e raffinato, ma un interprete lucido e appassionato di questo tempo che non ha subìto ma che ha sempre cercato di capire e perciò di orientare. È stato un pastore curioso, mai scontato: e proprio questo è ciò che lo ha reso un educatore affascinante». Lo era stato a lungo da sacerdote, come tanti reatini ormai avanti negli anni possono testimoniare, e ha ripreso a esserlo per molti anche in quest’ultimo decennio in cui era tornato a Rieti: «un riferimento ricercato, perché la sua curiosità lo portava non in ascolto di maniera dell’altro ma un ascolto partecipe».

Infine, quell’«ultimo tratto» di don Lorenzo «che non è mancato neanche in questi ultimissimi giorni in cui si faceva fatica a seguirlo nelle sue parole, nei suoi tortuosi ragionamenti», era, ha detto il vescovo, «la sua ironia discreta che gli ha consentito di non cedere mai né al cinismo né alla rassegnazione». Quella sapiente ironia che gli consentiva «di non mollare mai definitivamente nessuno, ma nello stesso di dare sempre a ciascuno un’altra possibilità. L’ironia di Lorenzo era tale che non proveniva mai dalla sua bocca né cinismo né rassegnazione. Ed è proprio questa qualità quella che faceva comprendere in fondo lui aveva fiducia nei suoi interlocutori, anche a costo di apparire qualche volta perfino un po’ ingenuo».

Ecco allora che cosa chiedere, ha concluso Pompili, al servo buono Lorenzo testimone della risurrezione: «Di accompagnare ciascuno di noi in questa sfida che è la risurrezione, in cui consiste la nostra fede e che consiste nell’entusiasmo da ritrovare, nella curiosità da risvegliare, nell’ironia da coltivare».