Chiesa di Rieti

Il nuovo libro di don Luciano Candotti: «Interpretare l’anima di san Giuseppe»

Il nuovo libro di don Luciano Candotti, parroco di Colli sul Velino e di Labro, è un racconto particolare che traccia la sua personale devozione a Giuseppe di Nazaret

Solitamente la penna di don Luciano Candotti si è esercitata nella sua passione di ricercatore storico e fine archivista, riferendo di luoghi, chiese, opere d’arte, persone, vicende, documenti… Stavolta, invece, va sul “poetico”.

Nel senso del lasciar parlare il cuore. E lo fa con un “racconto” particolare che è la sua personale devozione al santo tanto noto quanto umile come presenza accanto alle “gigantesche” figure della madre e del suo figlio putativo: si tratta di Giuseppe di Nazaret.

Vi racconto il “mio” san Giuseppe, si intitola l’ultima pubblicazione a firma del parroco di Colli sul Velino e di Labro. Un racconto che don Candotti – nel 45° anniversario della sua ordinazione presbiterale – ha voluto dedicare a tutti i parrocchiani delle varie comunità servite in nove lustri di sacerdozio. E le sensazioni che la lettura di questo volumetto suscita, ha scritto “come introduzione” monsignor Lorenzo Chiarinelli, sono «il fascino della “poesia” che può emergere dalla coltivata devozione del cuore» e «il tessuto vivo che riesce a maturare in relazioni significative anche in contesti semplici e quotidiani».

Devozione sentita, ma non devozionismo. Bando a ogni sentimentalismo e nessun cedimento al miracolistico e al favoloso, nel ripercorrere, con una personale rilettura del cuore, la figura del santo sposo di Maria: scordatevi la verga fiorita e tutte le verniciature leggendarie degli apocrifi: ciò da cui l’autore parte sono i testi degli evangelisti, quelli canonici. Cominciando da quella “carta d’identità” che san Matteo, a chiusura della genealogia di Gesù con cui apre il suo Vangelo, lo definisce appunto “sposo di Maria dalla quale nacque Gesù chiamato il Cristo”: di qui l’intento di questa pubblicazione che don Luciano dichiara, che è quello di far sì che tale «sintetico profilo» possa divenire non più soltanto «il testo di una epigrafe, per quanto eloquente, ma l’esibizione di una superlativa carta di identità che dà pieno diritto a chi ne è l’intestatario a un trionfale ingresso del nostro spirito come si addice all’ingresso di un Grande».

Ed ecco così i vari capitoletti in cui, partendo dai brevi accenni alla figura di Giuseppe che gli evangelisti vergano, Candotti intesse quasi un dialogo con lui, provando a entrare dentro l’animo dell’uomo giusto chiamato da Dio alla missione di “custode del Redentore”: dal fidanzamento con Maria alla nascita del bambino a Betlemme, dall’infanzia di Gesù con la fuga in Egitto al ritorno a Nazaret, fino alla crescita nella bottega del carpentiere che rimarrà “appiccicata” su Gesù da parte dei suoi compaesani quasi come un segno di disprezzo, per poi giungere, una volta sparito lui dalla vita del Messia, al momento culminante della croce in cui si può solo immaginare la solitudine di Maria e il pensiero allo sposo che non c’era più… Per chiudere, riferendosi alla Chiesa nascente che Luca, nel primo capitolo degli Atti, descrive con la presenza di Maria, con la nascita di quel culto che, associato a quello della sposa, non abbandonerà mai la vita della comunità cristiana, facendolo considerare – nel presumere una sua morte santa e anticipata – il “protettore della buona morte” e rendendolo poi, in tempi più recenti, per proclamazione pontificia, “patrono della Chiesa universale”.

Nelle pagine del libro, emerge forte il trasporto sentimentale di don Luciano che, scrive ancora Chiarinelli, «rivisita, accompagna ed “interpreta” l’anima di san Giuseppe», con un dolce e saggio uso «di attribuzioni, di trasposizioni, di tutto un mondo interiore suggerito da ricerche, affetto, venerazione, indagine psicologica, esplorazioni spirituali».

Consegnando alle comunità cui il libro è dedicato il valore di una devozione condivisa che aiuta a cogliere quanto il disegno di Dio innalzi chi umilmente a lui si affida.