Fca, anche per Torino è già il mondo di domani

La sfida è appena cominciata, ora che le carte sono in tavola. Ed è una sfida che Marchionne ha lanciato non da ieri al “sistema città”: dimostrare di essere capace di diventare un vero polo di eccellenza produttiva. La strada indicata da Nosiglia: la città e il suo territorio hanno il dovere di costruire il proprio futuro; e di questo futuro l’automotive continua a far parte.

Amsterdam e Londra, New York e Milano. E Torino? La risposta è arrivata dal Consiglio d’amministrazione celebrato ieri – forse per l’ultima volta – al Lingotto: la capitale subalpina rimarrà un polo produttivo importante ma le funzioni direzionali, come era ampiamente previsto, si trasferiscono nelle sedi “naturali” dei gruppi globali, come ora Fiat è. Fiat: anzi Fca (Fiat Chrysler Automobiles), la nuova sigla del settimo produttore mondiale di autoveicoli. Il CdA del 29 gennaio ha confermato quel che già da tempo Sergio Marchionne e i suoi collaboratori avevano lasciato trapelare: la costituzione del gruppo globale esigeva anche una “architettura” di tipo globale, con presenze mirate nei luoghi appropriati.

E però Torino non esce dall’orizzonte di Fiat, né a breve periodo né sul lungo termine. Ridimensionata nel ruolo direzionale, la città rimane un riferimento produttivo importante, in cui gli azionisti hanno investito cifre considerevoli – come il miliardo circa di euro per l’avvio della linea Suv a Mirafiori, i cui lavori cominceranno a primavera. E, al di là dei posti di lavoro, quel che dovrebbe rimanere in Piemonte è il patrimonio di esperienza produttiva maturato in oltre un secolo: le trafile di calcolo e progettazione dei modelli, l’indotto “di qualità” capace di elaborare e realizzare i prototipi; la facoltà d’ingegneria dell’auto che dal 1997 ha formato diverse generazioni di progettisti, manager, esperti di commercializzazione…

In realtà la sfida di Torino è appena cominciata, ora che le carte sono in tavola. Ed è una sfida che Sergio Marchionne ha lanciato non da ieri al “sistema città”: dimostrare di essere capace di diventare un vero polo di eccellenza produttiva, con tutto ciò che questo comporta. Predisporre, cioè, reti di trasporto e comunicazione realmente competitive; offrire una legislazione locale capace di attrarre investimenti soprattutto nei settori della ricerca; costruire una vocazione di “accoglienza” (turismo congressuale e non solo) realmente competitiva, che vada al di là dei tentativi un po’ dilettanteschi finora compiuti dagli enti locali. È la prospettiva indicata anche dall’arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia, che ha commentato brevemente le notizie del CdA Fiat ricordando che comunque la città e il suo territorio hanno il dovere di costruire il proprio futuro; e di questo futuro l’automotive continua a far parte, anche se in modi e forme diversi dal passato.

Adesso si vedrà davvero se istituzioni e forze sociali, associazioni di imprenditori e mondo delle “start up” sono in grado di lanciare proposte diverse e però concrete, mirate a obiettivi di “marketing urbano” che finora Torino non è mai stata in grado di progettare con risultati significativi (per certi versi, anzi, si è parlato fin troppo di queste cose, ma poi sono mancate sia le idee che le realizzazioni: l’esempio più recente rimane quello delle Olimpiadi invernali del 2006). È su questi terreni che occorre giocare potendo contare, anche, sulla presenza di una “multinazionale” che ha sì portato via da qui la “testa”, ma vi conserva parti essenziali del corpo, e che dunque continuerà a servirsi di Torino ancora per un bel po’.

Dal punto di vista di Fiat-Fca le decisioni del 29 gennaio aprono a un avvenire ricco di prospettive. Certo, bisognerà continuare ad affidarsi all’abilità di Marchionne e della sua squadra per conquistare condizioni vantaggiose per la produzione e il credito sui vari mercati mondiali; ma il successo dell’accordo con Obama per Chrysler sembra indicare che questi strumenti non mancano. Ma il nuovo gruppo globale dovrà comunque affrontare sfide che sono di portata e dimensioni ancora superiori: in America del Nord come nelle aree emergenti (Brasile, India, Cina) si tratta di conquistare o consolidare posizioni continuamente insidiate dagli altri competitori. In Europa c’è una “recessione dell’auto” che non accenna a fermarsi, e in cui solo i tedeschi sembrano aver indovinato, parzialmente, alcune ricette per uscirne. Il problema dell’auto è, in realtà, il problema stesso dell’Europa: come le utilitarie hanno accompagnato e costruito il grande sviluppo del dopoguerra, così oggi ne seguono il declino. Non possono essere i 70enni i protagonisti di una stagione di acquisti di beni durevoli che serva a rilanciare l’intera economia, il risparmio diffuso e ad accrescere il benessere. Questo era il mondo di ieri, dove esisteva il ceto medio.