Don Domenico ad Avvenire: «È come vivere in un mondo sospeso»

(da avvenire.it)

«Sgomento. Avevo visto diversi di questi luoghi nei miei primi di episcopato qui. Rivederli ora stringe il cuore». Domenico Pompili, vescovo di Rieti, dall’altro giorno continua a percorrere in lungo e in largo la porzione della sua diocesi devastata dal terremoto. «Incontro le persone che vivono ancora l’incredulità per quanto accaduto – prosegue nel suo racconto il vescovo, che raggiungiamo mentre prosegue questo suo peregrinare –. È come vivere in un mondo sospeso, in cui il presente appare cancellato e il futuro apparecancellato».

E un vescovo in questa situazione cosa può dire? O fare?

Deve porsi accanto a queste persone disperate e dare anche sepoltura alle vittime. Penso che non si tratti di dire parole, ma di mettersi al fianco di questi uomini, donne e bambini – quanti bambini -, che stanno vivendo un momento terribile della propria vita. Io stesso in questi giorni nella sola Amatrice ho benedetto un centinaio di salme raccolte in una delle tendopoli, in attesa di identificazione. Un dramma che rischia di essere «cancellato » dalla comprensibile frenesia dei soccorsi e dal bisogno di affrontare necessità contingenti, dopo aver perso non solo i propri cari, ma anchele proprie cose.

Insomma uno stordimento che non ti fa neppure elaborare il luttovissuto?

Potremmo dire così. Le persone che ho incontrato in questi due giorni sono spesso ancora inebetite da quanto accaduto. E soprattutto sono macerati dalla paura di cosa li attende per il futuro. E non sto parlando solo dell’immediato.

Vuol dire che hanno paura di esseredimenticati?

Può apparire strano in questo momento di forte mobilitazione e solidarietà che vede tutto il Paese impegnato. Ma purtroppo ci sono molti episodi del passato che hanno dimostrato come, dopo l’iniziale attenzione, è seguita una progressiva disattenzione. Se non peggio, finendo nello scontro politico. Oggi, comunque, permane lo stordimento, che ho potuto riscontare nel mio girare nei paesi distrutti. Ho davanti agli occhi l’immagine di un uomo, un fornaio, che mi ha mostrato i corpi della moglie e dei due figli, di 12 e 16 anni, raccolti nei sacchi.Scene strazianti.

Perdite umane, ma anche tanti danni al patrimonio ecclesiastico: dalle piccole pievi alle chiese parrocchiali.

Solo due sabati fa ero a Sant’Ange-lo, frazione di Amatrice, per la riapertura della locale chiesa dopo un periodo di restauri. E oggi non c’è più nulla. Davvero una ferita profonda. Un colpo durissimo a un territorio che stava faticosamente costruendo il proprio fuchiedonoturo dopo un periodo di spopolamento e abbandono, con assenze di infrastrutture necessarie al suo sviluppo. Ora questo terremoto ha cancellato un grande patrimonio artistico ed ecclesiastico che ha sempre rappresentato le profonde radici di queste popolazioni.

Proprio così. Hanno perso la loro casa e la loro chiesa, ma sono stati attivi per la propria comunità. Penso a don Savino D’Amelio che con le infermiere ha messo in salvo diversi ospiti della casa di riposo. Ma anche gli altri parroci non si sono risparmiati in queste giornate terribili. E speriamo presto di poter creare anche nelle tendopoli spazi di preghiera, in cui la gente possa trovare un sacerdote, dove poter celebrare la Messa. Piccoli segni per ripartire.

Come diocesi vi siete attivati nella catena dei soccorsi. Avete già pensato anche al dopo emergenza?

In questo momento cerchiamo di coordinare tutti gli interventi e gli aiuti che giungono per le zone terremotate. Di certo cercheremo in futuro di aiutare l’opera di ricostruzione, affinché non perda di efficacia e velocità. Spero che sia anche l’occasione nella quale poter pianificare opere che aiutino questo territorio a riprendere la propria vita.