Corruzione e malaffare: non tradiamo i giovani

L’assonanza “educativa” tra l’appello di Giorgio Napolitano e quello del card. Angelo Bagnasco

C’è una singolare assonanza tra le parole che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rivolto ieri al mondo della scuola nell’inaugurazione ufficiale dell’anno scolastico e quelle che il cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha pronunciato il giorno prima, aprendo il Consiglio permanente della Conferenza episcopale. Parole gravi, a sottolineare il momento difficile per l’Italia, tra una politica che ha perso il filo e la corruzione che pare dilagante, immoralità, malaffare, motivo di disagio e di “rabbia degli onesti”, come suggeriva il cardinale. Il presidente, parlando soprattutto agli studenti, ha ricordato il valore della legalità che la scuola cerca di promuovere e ha sottolineato, riferendosi alla cronaca, come proprio “nel disprezzo per la legalità si moltiplichino malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili, vergognosi. Non è questo accettabile – ha aggiunto – per persone sensibili al bene comune, per cittadini onesti, né per chi voglia avviare un’impresa”.

Non c’è solo l’assonanza nella denuncia. Pare di cogliere anche qualcosa di più: la convinzione e la speranza che si possa voltare pagina. Ed è forse questo l’aspetto più importante, per evitare, oltre la rabbia, la rassegnazione degli onesti, imbarcati su una nave alla deriva dove sul ponte si balla allegramente e si fa festa, prima del naufragio. “La cittadinanza è più avanti di quanto non si pensi”, suggeriva il cardinale, lasciando intendere l’esistenza di energie positive, capaci di risollevarsi pur nella grave crisi. E Napolitano ha parlato agli studenti, ai giovani, che sono il futuro del Paese. Invitandoli a guardare avanti, perché “risanare la politica, far vincere la legge si può”.

Ma come è possibile? E qui il discorso di Napolitano apre uno scenario decisivo, facendo appello al mondo dell’educazione e della scuola, quella scuola che “educa alla cittadinanza, promuovendo la condivisione di quei valori sociali e civili che tengono unite le comunità vitali, le società democratiche”. Lo ha sottolineato anche il ministro Profumo. La scuola laboratorio della convivenza, dove si “macinano” e si sperimentano i valori del vivere insieme. Dove la legalità, ad esempi – ed è ancora Napolitano a ricordarlo -, vuole dire rispetto delle regole, “rispetto dei compagni, specie di quelli più deboli, e soprattutto, vorrei sottolinearlo, rispetto degli insegnanti che sono il cuore pulsante della scuola, e guai a indebolirlo”.

Una scuola che diventa efficace se funziona il “triangolo amoroso” tra insegnanti, studenti e famiglie, se operano insieme “almeno altri tre soggetti : una società che creda e pratichi la superiorità dell’istruirsi bene rispetto al contare sulla raccomandazione, un mondo del lavoro che contribuisca alla formazione dei giovani e premi le loro competenze, un’azione pubblica che riconosca il ruolo cardine dell’istruzione e in essa investa idee e risorse”.

Il discorso del presidente è forte e al di là delle ricadute che potrebbe avere in termini di politica scolastica – servono più risorse – è in sostanza un richiamo alla responsabilità condivisa, ad uno sforzo educativo cui non può sottrarsi nessuno, che comincia nelle famiglie, passa per la scuola e finisce nelle stesse aule della politica, nutrendosi necessariamente della consapevolezza dei compiti personali e comunitari. Per non tradire i giovani.

Tutto si tiene. E rimanda al grande sforzo dell’educazione, alla necessità di testimoni, alla convinzione che “oggi meno che mai – lo diceva ancora il cardinale Bagnasco al Consiglio permanente – nessuno può illudersi di salvarsi da solo”.