Campioni al box office. “Split” diretto da M. Night Shyamalan e di “La La Land”, opera seconda del giovane Damien Chazelle

Due film si contendono gli incassi del box office cinematografico italiano (così come era successo con quello americano): si tratta di “Split” diretto da M. Night Shyamalan e di “La La Land”, opera seconda del giovane Damien Chazelle. Sono due pellicole americane ad alto budget, riconducibili a generi precisi (il thriller psicologico la prima e il musical la seconda) e inserite nella produzione mainstrean dei grandi studios. Le somiglianze, però, finiscono qui. I due film, infatti, sono all’opposto per quel che riguarda il tema trattato e soprattutto la filosofia di fondo che li attraversa.

Se l’opera di Shyamalan è, infatti, il ritratto di un pazzo schizofrenico, della sua mente frammentata, della violenza che lo caratterizza, “La La Land” è il tuffo in un mondo incantato dove i sogni e l’amore sono ancora possibili e dove non può accadere nulla di brutto. Com’è possibile che un film totalmente nichilista, dunque, ed uno, all’opposto, totalmente ottimista e pieno di speranza convivano nello stesso box-office? Siamo di fronte ad uno “sdoppiamento” di personalità del pubblico italiano, attratto da cose che sono agli antipodi? A noi, in realtà pare che questa suddivisione, che a prima vista potrebbe sembrare schizofrenica, risponda perfettamente a quella condizione di instabilità emotiva che caratterizza l’uomo nella società contemporanea e che il compianto Zygmunt Bauman aveva affrontato a fondo nei suoi studi sulla società liquida.

Il sociologo polacco, infatti, nella sua analisi della società postmoderna, definita fluida perché ormai priva di ogni elemento di certezza e di sicurezza, affermava che gli individui si muovono ormai tra picchi emotivi continui nella vita i tutti di giorni: intensità ora positive e ora negative definiscono il suo modo di porsi nella realtà, momenti in cui a prevalere è l’euforia e momenti in cui a prevalere è il più nero pessimismo. Questa duplicità della condizione della soggettività postmoderna ben si sposa con il discorso che stiamo portando avanti: “Split” e “La La Land” rappresentano i due estremi delle oscillazioni entro le quali si muove il soggetto nella liquidità che lo circonda. Da una parte una pellicola che esalta il relativismo dell’identità (il protagonista di “Split” ne ha ben 23), del pensiero, delle azioni e in cui a vincere su tutto è la brutalità, la violenza, l’assenza di un significato veritiero in mezzo a questa rifrazione continua. Dall’altra, un film che, come ogni buon musical che si rispetti, appartiene al mondo del sogno, dell’ideale, del “giusto”. In cui, in iridescenti colori al Technicolor, tra musiche e balli, a trionfare è la speranza, il successo, l’amore. Da una parte, dunque, l’enfasi sul nichilismo contemporaneo, dall’altra l’affermazione della necessità di tornare a credere in qualche verità, in qualche punto fermo, in qualche valore.

Dunque, nessuna sorpresa se a dividersi il box-office sono due titoli così differenti e ai poli estremi: insieme rispondono alle esigenze di noi soggetti postmoderni divisi fra rassegnazione rispetto ad un caotico, violento, presente e fra desiderio di valori con cui dare di nuovo un vero senso alle nostre esistenze.