“Willy no parte”

Sei anni fa. È da poco passata la mezzanotte e quello che per tutti è stato la leggenda del basket reatino, Willie Sojourner, lascia il bar Crosby dove ha bevuto il bicchiere della staffa insieme all’amico di sempre Walter Zampolini prima di tornare a casa. Purtroppo il destino la pensava diversamente. E Willie perse la vita in un tragico incidente.

Attilio Pasquetti è uno dei reatini cresciuti a pane e basket. Per lui la pallacanestro è da sempre, prima di tutto, una passione. Passione che affonda le radici in quel passato glorioso, e mai dimenticato, del basket giocato e vissuto nell’olimpo. Quel basket che ha fatto sognare Rieti ed i suoi tifosi. Un basket dove le partite non finivano allo scadere del tempo sul tabellone, ma proseguivano fuori. Per un lungo periodo in città, basket e vita andavano a braccetto. E tutto ciò Attilio Pasquetti lo ha vissuto dal di dentro. Con passione, dedizione e tanta ironia. Con lui ricordiamo Willie Sojourner. Le storie, gli aneddoti, le gare, il personaggio. Attilio è una miniera di ricordi e si starebbe ad ascoltarlo per ore. Perché quando racconta il “basket” reatino lo fa prima di tutto da tifoso. E ti fa ridere, ti fa appassionare.

Attilio, ricordi quando Sojourner arrivò a Rieti?

Lo ricordo molto bene anche perché fui io a fare la telefonata in America.

Racconta.

La società aveva ricevuto un’imbeccata che negli States c’era un giocatore molto forte che poteva fare al caso nostro. Un certo Mike Sojourner. Italo Di Fazi mi chiese, visto che parlavo inglese, di telefonare. Chiamai e a chi mi rispose chiesi se potevo parlare con Mike. Dall’altra parte mi rispose Willie che disse, “Mike non c’è, però ci sono io”. Spiegai tutto a Di Fazi che mi disse di farlo venire a Rieti.

Ed è li che nasce la leggenda.

Quello che Willie è riuscito a stabilire non solo con i tifosi, ma con una città intera è stato da subito un rapporto speciale. Si è fatto voler bene. Ricordo il giorno del suo arrivo. A Roma era andato a prenderlo Gigi Simeoni che allora, aveva una Mini Cooper. Quando arrivarono Willie scese dall’auto tutto rattrappito e ridendo, la prima battuta che fece fu “questa è l’auto, ora vediamo il resto. Speriamo sia meglio”. La sua simpatia ci aveva già conquistato.

Ed era solo l’inizio.

La prima partita che doveva giocare con noi, era a Siena. Willie aveva la mano fasciata perché si era tagliato e, quando scese in campo, Pentassuglia (Elio, grande allenatore anche lui scomparso ndr) ci disse, “ma chi mi avete portato?” Ma Willie fece una grandissima gara. Al momento di firmare il contratto, visto che avevamo deciso di tenerlo, disse che non avrebbe potuto firmare perché aveva la mano fasciata. Al che Italo Di Fazi gli chiese “ma come, hai giocato e ora non puoi tenere una penna in mano?”. Ma Willie sorridendo rispose “io gioco con la sinistra, ma oggi ho giocato con la destra”. Da lì tutti capimmo chi era veramente Sojourner e soprattutto che, oltre a un grande giocatore, avevamo davanti un grande personaggio. Simpatico, ironico, un po’ guascone.

Perché scelse l’Italia?

Perché, nonostante la sua grande simpatia, Willie, negli States aveva dovuto fare i conti con una società che ancora non accettava i matrimoni misti. Lui era sposato con Jane, una ragazza bianca e lì la realtà era diversa dalla nostra. Quando è arrivato a Rieti ed ha visto che da subito era considerato come uno di famiglia, un amico, un fratello, ha capito che qui avrebbe potuto vivere la sua vita in serenità. E così è stato. Prima e anche dopo, quando quella maledetta notte del 20 settembre ci ha lasciati.

Nel periodo in cui Willie ha indossato la maglia amarantoceleste il basket reatino ha vissuto il periodo di massima gloria arrivando anche in Europa.

Era una grande squadra. Non dimentichiamo che con Willie sono cresciuti giocatori come Brunamonti e Zampolini, solo per fare alcuni nomi.

E poi è arrivata la Coppa Korac.

Nel 1979 giocammo la finale a Belgrado contro il Partizan, ma ci avevano già fatto capire che non avremmo mai potuto vincere. Giocavamo contro la squadra di casa e per di più si ricordava il decennale della morte di Korac. E infatti perdemmo 98 a 108.

Però l’anno dopo la storia andò diversamente.

A Liegi giocammo la finale contro il Cibona Zagabria e vincemmo per 76 a 71. E così portammo a Rieti la coppa. Ricordo ancora, all’arrivo in piazza Vittorio Emanuele, tutta la città lì ad attenderci compreso il sindaco. Fu un momento indimenticabile e Willie era lì con noi.

Willie che ha scritto il pezzo più importante della storia del basket reatino, ma che tutti ricordano anche per la sua simpatia e per il suo modo di vivere che a volte, usciva fuori dagli schemi. Ma Willie era Willie e gli si perdonava tutto.

Penso che ogni reatino, tifoso e non, che abbia vissuto quegli anni abbia almeno un aneddoto da raccontare legato alla sua figura di uomo e di giocatore.

E tu, Attilio, su questo sei una miniera inesauribile. Si starebbe ad ascoltarti per delle ore. Ricordane qualcuno.

Così su due piedi mi viene in mente quando, per esempio, durante il viaggio a Bratislava, ci fece giocare a poker per ventiquattro ore di seguito. Alla fine eravamo distrutti dalla stanchezza, ma anche dalle risate. O ancora quando, a due minuti dall’entrata in campo a Ferrara, gli dissi che se avessimo vinto, gli avrei offerto due bottiglie di vodka. Ovviamente vincemmo. Ma io mi ero dimenticato della scommessa. Saliti in autobus, al primo autogrill si alzò e disse all’autista di fermarsi. Mi guardò e sorridendo disse: “Attilio scendi e vai a comperare due bottiglie di vodka”. Che ovviamente a Rieti arrivarono vuote.

Legato al nome di Willie c’è quello di un grandissimo personaggio nonché appassionato tifoso e suo grande amico, Alfiero Vicari, conosciuto da tutti come Sceriffo.

Verissimo. Lo Sceriffo ha vissuto praticamente tutta la storia del basket reatino. Non ha mai perso una trasferta. Con Willie erano una “coppia” incredibile. E non è un caso che se ne sia andato poco tempo dopo la morte di Sojourner. Ricordo una volta, dopo una partita contro il Varese di Pentassuglia, andammo a cena tutti insieme. Avevano lo stesso cappotto nero. Prima di andare via lo Sceriffo ne indossò uno, ma Willie gli fece notare che aveva sbagliato e si era messo il suo. Lo Sceriffo rispose che non era vero. Arrivati al Crosby, si accorse che si era sbagliato sul serio e chiese a Willie di scambiarsi i cappotti, ma lui lo guardò e gli disse “mi dispiace, il tuo è rimasto a Varese”. E lo Sceriffo rivide il suo quando, nel girone di ritorno Pentassuglia venne a Rieti e glielo riportò. Erano così. Due persone incredibili.

La partenza di Willie. Poi il ritorno nel settembre di sei anni fa e una città ancora innamorata di lui.

Arrivò a Rieti ed era come se non se ne fosse mai andato. Quella maglietta azzurra ed il sorriso. Poi l’incidente. Ma Willie rimane un campione indimenticabile. Era un reatino, uno di noi. E gli amici non si dimenticano.

One thought on ““Willy no parte””

  1. Ileana Tozzi

    Willy è un dolore e un rimpianto. Una delle ultime foto, con la maglietta azzurra a righe bianche e nere, lo ritrae mente tenta un gancio cielo, il gesto ancora fluido, lo sguardo teso, angosciato in cui c’è tutta la consapevole parabola di una vita tanto bella ma ancor più sofferta e travagliata, la lucida consapevolezza del tramonto. Una volta richiamato a Rieti dagli abissi in cui era sprofondato come si faceva nell’Atene di Pericle, avremmo dovuto mantenerlo a spese pubbliche,magare in un monolocale nei pressi del Crosby, altro che mandarlo a schiantare più in là del palazzetto in una notte di spleen. Mi spiace non averlo rivisto, dopo il suo breve ritorno. Non amo la folla, e confidavo in un incontro casuale. Ripenso a lui ogni volta che “come il vecchio sartor fa ne la cruna” sbircio di sbieco per leggere l’ora sul mio Rolex, comprato da Giancarlo Passi nell’estate del 1976. LUi ne aveva uno uguale, un Oyster, con il quadrante ebano: una schiccheria, chissà quante volte giocato a poker o impegnato al Monte, dopo di allora. Mi dette un buon consiglio, suggerendomi di non acquistarlo sabbiato. Da vecchia, non lo leggerai. Da vecchia, mi sarebbe piaciuto salutarlo ancora.

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