Al pozzo di Giacobbe

[download id=”179″]

Riflessioni e indicazioni in occasione della Seconda Visita Pastorale

Premessa

Uno semina, uno miete

La conoscenza approfondita della nostra Diocesi di Rieti in questi tredici anni trascorsi mi ha fatto determinare a compiere una seconda Visita Pastorale. Ringrazio il Signore per questa ricca esperienza di servizio pastorale nella Diocesi di Rieti, Chiesa di Dio e di gente che ho imparato ad amare e alla quale ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo e alla quale confido di continuare a dedicarmi con generosità e impegno.

Ogni lavoro che noi compiamo non inizia mai dal punto di avvio, ma sempre si fonda su ciò che hanno realizzato altri e abbiamo la certezza che continuerà nel futuro per l’azione generosa di tante persone, ma soprattutto per l’opera dello Spirito che spinge la Chiesa nella sua missione evangelizzatrice.

Ho ritenuto di adottare come icona biblica per questa seconda Visita Pastorale il brano del vangelo di Giovanni (4, 1- 26) conosciuto come quello della Samaritana al Pozzo di Giacobbe, per i numerosi spunti di riflessione ecclesiologica e pastorale che può dare nel momento in cui ci accingiamo tutti a vivere questo momento di grazia, di verifica e di incoraggiamento alle comunità.

Nei capitoli successivi, dopo una lettura meditata e ragionata della perìcope evangelica, darò alcune indicazioni sulla preparazione, sullo svolgimento pratico della Visita e sui progetti futuri.

Parte Prima

Gesù e la Samaritana

1. «Lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea»

Già dai primi versetti del brano appare chiaro il dinamismo di Gesù, quasi la fretta della sua attività apostolica; in poco tempo, circa tre “pasque”, la sua azione evangelizzatrice è riuscita a generare quella meravigliosa esperienza che è la Chiesa, nella sua dimensione spirituale, religiosa, ma anche organizzativa e sociale nel corso di questi duemila anni.

Sembrerebbe che l’impegno di Gesù non fosse organizzato, se non quel minimo che potesse bastare: Egli si recava là dove c’era bisogno della sua presenza e della sua Parola. Lasciò la Giudea, dove era il centro della vita religiosa e politica d’Israele, Gerusalemme e il Tempio, per tornare in Galilea, la regione della sua infanzia e del lavoro con Giuseppe, dell’amore filiale che lo aveva legato a Maria, perché in Giudea si parlava dei suoi miracoli, e ragioni di opportunità imponevano scelte ancora prudenti.

La vita cristiana è un peregrinare infaticabile sulle vie di Dio, dove Egli ci chiama e ci indirizza, per portare l’annuncio del Vangelo; ancor più lo è la vita dei sacerdoti e dei vescovi. Ce lo hanno insegnato i tanti sacerdoti di cui ho sentito parlare in questi anni girando per la nostra terra, nomi e volti che non ho conosciuto di persona, ma che mi sono stati presentati dai ricordi nitidi e riconoscenti dei parrocchiani. Ce lo hanno insegnato i vescovi di questa Chiesa, che nei secoli hanno percorso le strade dei nostri piccoli centri e della città, conoscendo le singole realtà, le persone, le contrade spesso raggiungibili solo per le vie impervie di questo ampio territorio.

2. «Doveva perciò attraversare la Samaria»

Gesù attraversa il territorio di gente che si era resa colpevole di aver provocato uno “scisma”, una rottura con la religione ufficiale, che aveva addirittura edificato un altro tempio in contrapposizione a quello di Gerusalemme, popolo ribelle e ingrato, ma era proprio necessario passare di là, essere riconosciuto e visto con sospetto e diffidenza.

È il rischio che deve correre chi porta il messaggio del Vangelo, non standosene comodamente appartato, ma affrontando il viaggio irto di pericoli e di insidie; ogni nuova esperienza pastorale, oltre che umana, nasconde qualche sorpresa non sempre piacevole, ma vale la pena affrontarla con determinazione e coraggio.

Le difficoltà si “attraversano”, non si aggirano, e Gesù accetta ancora una volta questo rischio, come forse tante altre volte ancora aveva dovuto affrontare questa immersione nel territorio “nemico”.

L’attività pastorale è certamente poliedrica e sia i pastori che i fedeli sanno che non è facile, soprattutto nella sua dimensione ad extra, quando si tratta di incontrare coloro che non sembrano interessati a ragionare sulla fede, su Dio, sul senso profondo della vita, sulla comunità cristiana nella quale impegnarsi, perché luogo di crescita comune e di presenza del Signore.

3. «Qui c’era il pozzo di Giacobbe»

C’è un luogo dove Gesù si ferma, forse dove si fermavano tutti i viandanti che passavano di là per ristorarsi e rinfrancare il corpo. Il pozzo era anche il luogo della memoria: Giacobbe aveva dato il terreno al figlio Giuseppe, dove c’era il pozzo: icona del luogo dell’incontro sponsale, memoria dei fatti biblici che costituiscono la radice del popolo, luogo dei frutti di quel lungo cammino nel tempo dove si fa sintesi della storia, profondità che nasconde, che custodisce, ma che ridona anche quell’acqua che dà ristoro e salvezza.

4. «Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno»

Il Maestro, quando il sole è alto e splende il pieno giorno, stanco del viaggio si siede presso il pozzo; avrebbe potuto tirare diritto, come avrebbe fatto chiunque altro che conosceva la storia della divisione dei due popoli, o forse si era fermato lì a quell’ora perché pensava che non avrebbe incontrato nessuno. Di sera le donne si recavano al pozzo ad attingere acqua, ma a mezzogiorno era troppo tardi perché le faccende domestiche erano già avviate.

Ma forse Gesù si ferma lì a quell’ora proprio perché aspetta che qualcuno si rechi ad incontrarlo.

La pastorale della vicinanza è soprattutto pastorale dell’attesa, dopo che è stato fatto tutto ciò che è possibile e doveroso, un’attesa che non è ozio, ma un’attesa operosa, che riesce a provocare, un’attesa che chiama.

Gesù non si sta trasferendo da una parte ad un’altra della “Terra Santa” quasi si spostasse da un luogo di lavoro ad un altro, Egli è sempre, potremmo dire usando un’espressione attuale, “in servizio”, come ogni apostolo del Vangelo, e non ha paura di incontri che lo mettano a disagio.

5. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”

La donna che Gesù forse aspettava giunge con la sua brocca per cogliere l’acqua, a quell’ora, quando probabilmente non vi era neppure necessità. Forse aveva intravisto l’uomo da lontano e lei voleva metterlo alla prova, avrebbe potuto tornare indietro ed evitarlo. Ma neanche lei sembra avere paura di incontri imbarazzanti.

Gesù, per la mentalità ebraica del tempo, si comporta come uno che non conosce le ferree leggi sociali e religiose del suo popolo e del suo tempo, o come uno sfrontato che chiede da bere a una donna sconosciuta, quando le norme proibivano che un uomo si potesse rivolgere ad una donna senza che fosse presente un altro uomo della famiglia di lei.

Gesù vuole una reazione della donna, che non gli avrebbe dato da bere senza dire nulla, non avrebbe potuto non meravigliarsi. «Dammi da bere» era la frase che porgevano come “scusa” gli uomini che volevano conquistare le ragazze che attingevano l’acqua al pozzo.

Sembrava una proposta azzardata, oltre il significato delle parole.

6. Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?

Con una domanda inizia la relazione interpersonale tra i due, una domanda a cui soggiace un certo pregiudizio. Le cattive relazioni tra due popoli si dovrebbero tradurre necessariamente in ostilità tra persone appartenenti ai due popoli, ma non è così. Gesù e la donna di Samaria stigmatizzano questi luoghi comuni, diffusi già allora e forse da sempre e ancora oggi tristemente presenti nella nostra società, anche nei nostri paesi.

I campanilismi non sono compatibili con il cristianesimo vissuto, le contrapposizioni sono ostacoli a quel dialogo che nasce invece da uno sguardo caldo e accogliente: ne sono una testimonianza anche le numerose amicizie che sono nate tra persone appartenenti a popoli tra loro tradizionalmente nemici come israeliani e palestinesi. Quando si incontrano gli sguardi, quando nasce la simpatia e si stringono le mani, cadono tutte le barriere.

Questa immagine può far riconciliare tra loro tante persone delle nostre parrocchie e comunità che da tempo non si rivolgono la parola.

7. Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva

L’argomentare di Gesù capovolge i ruoli: la conoscenza del dono di Dio, della persona stessa di Gesù, provoca una richiesta di appagamento di quella sete che le persone hanno della vita eterna.

Il pozzo e l’acqua acquistano un significato nuovo; Cristo è l’acqua viva. Gesù ancora una volta usa gli elementi della natura come metafora di se stesso e della sua presenza in mezzo a noi, secondo la logica dell’incarnazione, in base alla quale un messaggio non attecchisce se non viene veicolato secondo le capacità di coloro a cui è rivolto e se non vi è una sorta di svuotamento in forza del quale ciò che è immensamente grande si fa piccolo per provocare a sua volta una crescita feconda, nuova vita.

8. «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva?»

Da dove prende Gesù quest’acqua viva. La donna non ha ancora messo a fuoco il linguaggio di chi le sta parlando, il pozzo per Gesù è solo la scusa e il luogo simbolico per trasferire il discorso da un piano strettamente materiale, visivo, ad uno spirituale. L’acqua di cui Lui parla è solo significata dall’acqua del pozzo, ma è Lui stesso, colui che parla, anzi è la Parola che può veramente dissetare il desiderio dell’umanità di vivere in pienezza e nella totalità un’esperienza di fede che rinnova la vita e la prospettiva di senso.

 9. Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?

Ancora non sono chiari alla donna la missione e lo spessore di Gesù, ma comincia a percepirne l’effettiva portata, forse quel tizio è veramente più grande di Giacobbe! Si sta per dischiudere alla donna Samaritana il vero significato degli insegnamenti che ha ricevuto, anche se da una comunità scismatica. Le promesse e le anticipazioni dell’Antico Testamento non possono non trovare il loro naturale sbocco in qualcuno che dia loro pieno compimento.

10. Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete. Ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.

Ormai Gesù scopre le carte, solo Lui può dare quell’acqua che disseta. La sete, il desiderio dell’acqua che allora come oggi in molti paesi del mondo, soprattutto del cosiddetto sud del mondo, non è questione di capricci, è questione di vita. Mentre noi sprechiamo questa preziosa risorsa che ci è data in abbondanza, in alcune zone del mondo è la principale preoccupazione delle famiglie e dei singoli, non solo e non tanto per l’igiene e per il disbrigo delle faccende, ma per dissetarsi, per preparare i pasti.

È uno scandalo che ci siano ancora persone e popoli che muoiono per mancanza di acqua. Ma l’acqua che non disseta, secondo la prospettiva di Gesù, non è solo quella materiale, ma per estensione è tutto ciò che è materiale e che non appaga il nostro desiderio, bensì lo infiamma ancora di più. Soprattutto nella nostra società, nella quale ogni cosa, anche la più insignificante, viene ritenuta necessaria, siamo portati a desiderare e a volere sempre tutto e di più.

È la condizione umana dalla quale difficilmente possiamo prescindere, ma non possiamo rimanerne completamente schiavi.

In alcune esperienze religiose non cristiane, come il Buddismo, ad esempio, si ritiene che il fondamento del dolore sia proprio il desiderio. Ciò è espresso dalle quattro nobili verità, secondo le quali, tutto è dolore (1a), il dolore è generato dal desiderio (2a), per eliminare il dolore bisogna eliminare il desiderio (3a), attraverso il nobile ottuplice sentiero (4a), cioè sostanzialmente con una vita retta.

Ad una attenta riflessione il messaggio di questa religione non cristiana, nata intorno al V secolo a. C., punta a liberare l’uomo dall’eccessivo desiderio delle cose, non solo quelle materiali, che genera dolore.

Anche Gesù, con la forza persuasiva e la novità che lo rende speciale come persona e in tutto il suo messaggio, ci invita a non essere prigionieri delle cose, di cui l’acqua è segno.

La sua acqua è di tutt’altro genere, è piuttosto una nuova dimensione di vita, la vita nello Spirito.

11. Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua.

La Samaritana non ha ancora afferrato il senso del messaggio, sta emergendo però da una situazione di freddezza spirituale ad un nuovo approccio alla sua vita di fede. Chiede ancora di essere liberata da una difficoltà contingente, cioè quella di attingere acqua materiale, perché l’acqua che dona Gesù è per la vita eterna. Forse la difficoltà della donna non è solo quella di recarsi al pozzo per cogliere l’acqua, ma quella di incontrarsi con altre persone che la mettono in difficoltà, perché la giudicano per la sua situazione matrimoniale. La domanda di Gesù, che è quasi anche una risposta, è immediata e dà chiaramente una svolta all’episodio, lo avvia verso il punto di chiusura e di sbocco finale, quello in cui viene riconosciuto come un profeta.

12. Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».

Cambia discorso il Maestro, o è una strategia comunicativa? È chiaro che, proprio come un pedagogo che si accorge di non essere stato chiaro, cambia metodo e per un altro percorso porta il discente a trovare la soluzione del problema. Gesù sa che la situazione matrimoniale della donna non è regolare e provoca in lei una sorta di riconoscimento della sua irregolarità. Visto dall’esterno il comando imperativo-esortativo di Gesù, sembrerebbe quasi che Lui voglia parlare con qualcuno che sia in grado di capire meglio o che sia abilitato dalla legge ad assumersi qualche responsabilità. Alcuni studiosi sono concordi nel ritenere che l’invito di Gesù sia piuttosto una dimostrazione più sbrigativa per farsi meglio riconoscere dalla donna, ma appare più gustosa la spiegazione di altri esegeti, secondo i quali, poiché le donne non potevano aver avuto più di tre mariti e la Samaritana ne aveva avuti cinque, il sesto sarebbe “Dio”, il vero marito.

13. «Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta»

Gesù dimostra alla Samaritana, donna che l’Evangelista lascia senza nome, una donna come tante, una persona come tante, che Lui conosce la storia di ognuno, non per giudicare, certamente, ma per mostrare che ogni persona sta a cuore a Gesù, nella sua condizione particolare, con i suoi limiti, le sue vicende, i suoi errori, in una parola con la sua umanità.

Il Profeta non giustifica la donna, né approva la sua condizione irregolare, né la donna chiede giustificazioni, come, ad esempio, molti cristiani oggi, che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari, vorrebbero che la Chiesa facesse qualche forzatura al suo insegnamento per alleggerire il peso di un fardello che comunque molti sentono di portare, anche se mostrano sicurezza e serenità nella loro nuova vita.

Chi vive in queste situazioni è al centro dei pensieri e dell’attività pastorale della Chiesa e le comunità cristiane devono essere accoglienti e benevole, anche se non è possibile fare aggiustamenti di ordine dottrinale o morale.

Nella Visita Pastorale spero di trovare comunità che hanno già avviato iniziative di approfondimento delle tematiche legate al Matrimonio e all’annuncio del Vangelo della famiglia.

14. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare.

La donna comincia ad entrare in sintonia con il Signore, ma cerca un ultimo appiglio, quello di riannodarsi alla tradizione: i nostri padri ci hanno detto questo, cioè che si adora Dio su questo monte, e voi dite che si deve adorare a Gerusalemme.

Gli schematismi fanno parte della condizione umana, ma si deve avere il coraggio anche di rivisitare il proprio vissuto religioso e umano. Questo vale anche per la nostra realtà pastorale, senza perdere mai il contatto con le cose e le persone che ci hanno preceduto, dobbiamo far tesoro di quanto abbiamo ricevuto, per essere poi pronti a cambiare.

15. Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità»

Qui Gesù crea il punto di rottura e dà le coordinate della grande novità del Vangelo e della sua persona. Nella nuova visione del rapporto con Dio non è importante il luogo, ma le persone, cioè coloro che accettano la sfida di vivere nella verità e secondo lo spirito.

La visione religiosa tradizionale ebraica è superata perché a Gesù stesso, ebreo tra ebrei, andava stretta. Se Dio è Spirito, allora tutto deve essere fatto in vista di un rapporto di tipo spirituale. Se Dio è Spirito allora bisogna lasciare spazio allo Spirito, ciò che conta veramente è lo Spirito.

Oltre all’aspetto puramente dottrinale da tutti conosciuto, cioè che Dio non è circoscrivibile in un luogo e in contesto e in limiti stabiliti dalla pura ragione umana, qui il concetto di Spirito è molto più ampio e tocca la realtà umana nella quale si deve dare allo Spirito il primo posto, come si deve dare il primo posto a ciò che è spirituale.

La vera sfida per il futuro delle nostre comunità non sarà quella di tornare indietro, né dal punto di vista sociale, né da quello religioso, perché non è questo che ci richiedono i tempi nei quali viviamo.

La realtà odierna è questa e non possiamo né ignorarla, né demonizzarla, né indirizzarla forzatamente nella direzione giusta.

Si tratta di immergersi dentro questo mondo portandovi la differenza specifica cristiana, come proposta accattivante, nella quale le cose materiali siano al servizio dei valori e non viceversa.

16. Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?».

Ecco il punto centrale della conversazione, in cui Gesù rivela se stesso senza prolungare il discorso, ormai la donna è stata condotta per mano, con una sapienza pedagogica straordinaria che l’evangelista ha saputo articolare e ricostruire con grande efficacia.

Gesù dice alla donna che il Messia che deve venire è Lui stesso. Il dettaglio per nulla scontato della brocca abbandonata nei pressi del pozzo è il segno del totale coinvolgimento della Samaritana nel rapporto con Gesù. Le vecchie certezze non servono più, non c’è più tempo per stare dietro alla nostra radicata convinzione che si deve fare sempre in un modo piuttosto che in un altro.

Che sia forse il Messia?

Sì, è il Messia, noi lo sappiamo, perché lo sperimentiamo nella nostra vita di fede e dobbiamo correre ad annunciarlo a tutti.

Parte Seconda

Gesù e la nostra Chiesa

Già nel corso del commento al brano evangelico, in cui ho voluto privilegiare non tanto e non solo la lettura esegetica, ma quella esistenziale, ho cercato di dare alcune indicazioni per la nostra pastorale.

Mi preme, a questo punto, fare una sintesi ermeneutica, che tenga conto della nostra concreta realtà, utilizzando simboli e segni presenti nel testo, per leggervi – con un po’ di creatività – indizi per orientare il nostro cammino.

Gesù viene incontro all’uomo di oggi, come all’uomo di tutti i tempi e lo cerca là dove egli vive e opera, con i suoi limiti e le sue insicurezze. La sua Parola e la sua Persona ci interpellano sempre, ma con garbo e discrezione, con rispetto e con pazienza.

Egli crea, come vuole creare con ognuno di noi, un rapporto di vicinanza in cui la relazione umana, vera, autentica, è necessaria per comunicare se stesso.

Il Pozzo rappresenta in qualche modo il legame con la tradizione, da cui non si può prescindere, una Tradizione da intendersi sia nel senso più alto, teologico, come trasmissione della Parola nel corso del tempo, sia come legame fecondo con le generazioni passate.

La donna è la Chiesa, con i suoi tradimenti, le sue infedeltà, le sue incomprensioni, ma anche con la sua capacità di ascolto, con la sua disponibilità al cambiamento.

Gesù-Sposo attua con la Chiesa-Sposa una comunicazione pienamente riuscita e si cala nell’interiorità più nascosta perché tale comunicazione sia vera, ma soprattutto unica.

Non si scoraggia quando la donna mostra di non comprendere appieno il suo messaggio e non desiste fin quando non la mette in condizione di capire da sola qual è la posta in gioco.

Da questo testo, molto conosciuto e meditato da tanti, noi possiamo trarre ancora preziosi insegnamenti, per la nostra attività pastorale, senza sentirci inadeguati e senza coltivare idee rinunciatarie.

Con le nostre comunità e la nostra gente dobbiamo mostrarci ed essere realmente pazienti, anche quando sembra che non ci seguano: la pedagogia “divina” deve essere per noi di esempio, senza farci sopraffare dalla fretta. Ma ogni iniziativa va promossa nell’ottica della continuità e della gradualità.

Aspetti pratici

Preparazione e svolgimento della Visita Pastorale

Dopo aver analizzato il testo che fa da guida alla nostra riflessione in ordine alla Visita, è necessario soffermarsi a considerare gli aspetti più pratici di questo evento ecclesiale, che deve essere anche occasione per riflettere sulla Chiesa e sulla nostra appartenenza ad essa. Lo facciamo alla luce di alcuni documenti che guidano il Vescovo che si appresta a svolgere tale atto del suo ministero: il Direttorio per il Ministero Pastorale del Vescovo e il Cerimoniale dei Vescovi in vigore.

1. Preparazione della Visita

Dal prossimo Tempo di Pasqua inizierà la preparazione della Visita nelle Vicarìe e nelle Comunità. I Vicari Foranei e i Parroci, in piena sintonia con i Consigli Pastorali, individueranno le circostanze opportune e i momenti più adatti per coinvolgere la comunità loro affidata in una riflessione sulla Visita Pastorale, a partire dal presente documento, sia per gli aspetti evangelici e dottrinali che per quelli pratici.

Dopo aver letto il documento e averne discusso, vorranno riflettere sulla situazione socio-religiosa della comunità per sottolineare gli ambiti in cui si riscontrano maggiori necessità e carenze.

Per la preparazione e lo svolgimento degli incontri si potranno avvalere di personale che potrà anche essere contattato tramite il Centro Diocesano Evangelizzazione e Catechesi.

Già per la Pentecoste i Parroci predisporranno una breve relazione da consegnare al Vicario Foraneo, in cui esporranno la situazione della propria Parrocchia, sotto il profilo sociale e religioso, individueranno carenze, difficoltà e prospettive, evidenzieranno necessità e aspettative.

Avanzeranno anche proposte per il futuro spirituale e sociale della comunità e avranno cura di analizzare aspetti e problemi di ordine amministrativo e pastorale.

La relazione, di circa cinque pagine digitate al computer, sarà consegnata al Vicario Foraneo, che predisporrà una sintesi da consegnare al Vescovo, unitamente alle relazioni dei Parroci, entro la metà del mese di giugno 2010, perché possa adeguatamente prepararsi, come anche suggerito dal Direttorio dei Vescovi.

Sarà opportuno anche soffermarsi brevemente, durante le omelie del Tempo di Pasqua, sull’imminente Visita, perché i fedeli ne colgano la rilevanza pastorale ed ecclesiale.

Incoraggio la preparazione e lo svolgimento di momenti di preghiera, celebrazioni della parola e adorazioni eucaristiche che abbiano lo scopo di sensibilizzare le comunità in tal senso e di suscitare un vero spirito di attesa spirituale per l’atto ecclesiale che sta per compiersi.

Lo stesso Direttorio per il Ministero dei Vescovi, n° 222, prevede cicli di conferenze e prediche e addirittura missioni popolari per tutte le persone, anche per chi fosse lontano dalla Chiesa.

I temi possono essere desunti, oltre che dall’attualità ecclesiale e sociale, anche dai testi conciliari, soprattutto Lumen Gentium, Gaudium et Spes e Christus Dominus.

2. Svolgimento della Visita

Ho già condiviso con il Consiglio Presbiterale e con i miei collaboratori alcune modalità per lo svolgimento della Visita, e la riflessione è ancora aperta per aggiungere ulteriori elementi. Tuttavia ho anche annunciato che la svolgerò in maniera parzialmente diversa rispetto alla precedente e al modo ordinario previsto dai testi liturgici e giuridici che la disciplinano.

Nella singola Vicarìa tale “azione apostolica”, come la definisce il Direttorio dei Vescovi, sarà aperta da una celebrazione Eucaristica, concelebrata da tutti i presbiteri e religiosi del distretto con la più ampia partecipazione dei laici impegnati e delle religiose.

Si svolgerà in orario mattutino nel periodo estivo, preferibilmente di Sabato, usando – quando consentito – i formulari liturgici relativi alla Chiesa e al Vescovo, in occasioni in cui non vi siano già ricorrenze o festività, perché non si creino sovrapposizioni e sia ben chiara a tutti la natura di ciò che si compie, svolgendo ogni cosa con serenità e con i tempi necessari. È decisamente da escludersi la Visita durante le festività religiose.

Il luogo per la celebrazione sarà individuato dai sacerdoti della Vicarìa, tenendo conto della sua centralità rispetto alla zona, della popolazione, della raggiungibilità dai luoghi limitrofi, senza campanilismi e particolarismi, tenendo sempre presenti criteri oggettivi e pastorali.

Per quanto riguarda la concelebrazione essa sarà preparata con cura, sia riguardo al canto a cui dovrà partecipare tutta l’assemblea, che alla proclamazione delle letture, alla predisposizione della preghiera dei fedeli e alla processione offertoriale, applicando quanto disposto nel documento sulla liturgia, “Dignità e decoro delle celebrazioni liturgiche”.

In particolare le preghiere dei fedeli dovranno essere brevissime, non più di sei, corrette dal punto di vista dottrinale e liturgico, omogenee nello stile, adatte alla comunità, al tema della Visita e inserite nel tempo liturgico.

Durante la processione offertoriale, insieme al pane e al vino per il sacrificio, potranno essere recate offerte per i poveri e per le necessità della Diocesi, senza doni simbolici.

Dopo la celebrazione dovrà essere previsto un momento di incontro con i sacerdoti e i laici impegnati della zona, per affrontare le necessità emergenti e quelle già esposte nelle relazioni, al fine di individuare anche possibili soluzioni.

Nel pomeriggio, il Vescovo, accompagnato dal Vicario Foraneo, potrà visitare centri e parrocchie, come pure eventuali enti o istituzioni ecclesiali e civili, che si ritenga debbano essere visitate.

Nel caso in cui siano visitate altre comunità parrocchiali o religiose, si svolgerà una breve celebrazione della Parola, secondo il formulario allegato alla presente lettera.

Dovranno essere privilegiati incontri soprattutto con i giovani e i lavoratori e se possibile con le persone anziane, magari prevedendo un breve momento di preghiera comunitario.

Non sarà opportuno programmare il conferimento della Confermazione e di altri sacramenti, perché è bene che vi si riservino occasioni specifiche, nel preparare le quali si terrà nel debito conto anche il fatto che il Vescovo è in Visita alla Diocesi.

Con l’aiuto degli organismi diocesani di partecipazione – Consiglio Pastorale e Presbiterale – sarà individuato il numero e i nomi dei convisitatori, cioè sacerdoti esperti in materia giuridico-amministrativa, pastorale e storico-artistica. Saranno anche individuati religiose e laici esperti che aiuteranno il Vescovo e le comunità a trovare soluzioni agli eventuali problemi riscontrati.

Sarà il Consiglio Pastorale diocesano a suggerire la composizione di due commissioni per la preparazione immediata e lo svolgimento della Visita: quella Amministrativa che dovrà suggerire le modalità più agevoli ed efficaci per controllare i registri, l’amministrazione economica e l’archivio delle Parrocchie; quella pastorale per verificare lo svolgimento dell’attività parrocchiale in campo catechetico, liturgico, sacramentale.

Riguardo all’aspetto amministrativo è particolarmente opportuno adottare misure di corretta conservazione dei documenti e dei registri dell’ Archivio o Tabularium, poiché costituisce il nucleo di trasmissione alle future generazioni di quanto abbiamo ricevuto dai nostri predecessori e di quanto elaboriamo noi stessi oggi.

Grazie alla CEI abbiamo avuto la catalogazione informatica di tutti i beni artistici delle nostre Chiese e Parrocchie e con i fondi elargiti a seguito del sisma del 1997 abbiamo restaurato Chiese e case parrocchiali; in molti casi si è posta mano anche all’adeguamento delle aree presbiterali e alla loro ristrutturazione.

Purtroppo alcune soluzioni, come ho già avuto modo di rilevare nella lettera sulla liturgia, non solo non sembrano comode, ma appaiono sempre più incompatibili con il corretto modo di celebrare richiesto dalla riforma liturgica. È tempo di trovare soluzioni adeguate e definitive.

Entrambe le commissioni aiuteranno il Vescovo, al termine della Visita, ad elaborare il documento finale, ma soprattutto le indicazioni ai sacerdoti per migliorare sia l’attività amministrativa che pastorale della Comunità.

Tempi e luoghi della Visita e temi delle relazioni parrocchiali e vicariali

1. Tempi e luoghi

Come già detto fino a Pentecoste si svolgerà la preparazione della Visita, nelle Parrocchie e nelle Vicarìe, secondo le modalità sopra suggerite, senza vietare anche modalità parzialmente difformi e creative, che rispettino, però, la finalità e la natura della Sacra Visita Pastorale.

Alla ripresa estiva del tempo ordinario inizierà la Visita alle Comunità.

Nei mesi di luglio e agosto saranno visitate le comunità della periferia, in particolare le seguenti Vicarìe: Amatrice, Borgorose, Leonessa e Roccasinibalda;

Nei mesi di settembre e ottobre le altre Vicarìe periferiche, in particolare: Cantalice, Cittaducale-Antrodoco, Grotti-Roccaranieri, Borgo San Pietro e Contigliano.

Nei mesi di novembre e dicembre la Città: Rieti Nord, Rieti Est e Rieti Centro Storico.

 2. Temi delle Relazioni Parrocchiali e Vicariali

Le relazioni dovranno essere impostate in modo tale da presentare al Vicario Foraneo e al Vescovo, con verità e chiarezza, gli aspetti salienti della vita parrocchiale, distinguendo l’aspetto amministrativo da quello pastorale: quanto al primo il Parroco dovrà presentare la situazione economica della parrocchia, i beni, l’archivio, i registri, dovrà indicare se è attivo il Consiglio Affari Economici e come funziona; quanto al secondo, dovrà indicare le modalità di svolgimento della catechesi per l’iniziazione e per gli adulti, i tempi e le celebrazioni delle feste popolari, le modalità di svolgimento delle celebrazioni domenicali e festive, i problemi riscontrati e da risolvere con l’aiuto del Vescovo e dei laici.

Nella premessa non mancherà di indicare lo stato della pratica della vita religiosa, la condizione delle famiglie, dei giovani, la situazione lavorativa, culturale, morale e sociale della parrocchia.

È appena il caso di riflettere sul fatto che poi, tra alcuni anni, tali dati serviranno al Vescovo per elaborare la relazione per la Visita ad Limina.

Conclusione

Il Signore non passa oltre, ma si stabilisce in mezzo a noi, anzi permane tra di noi e noi lo accogliamo, in atteggiamento di ascolto e di amicizia.

Con la Visita Pastorale anche il Vescovo fa l’esperienza dell’incontro con il Signore, presente nella Chiesa e nelle varie comunità.

Al di là dell’aspetto anche amministrativo e giuridico che questo Atto porta innegabilmente con sé, noi tutti desideriamo che esso rappresenti soprattutto un’esperienza di fede e quindi principalmente un’esperienza di Chiesa, radunata per l’ascolto della Parola, nella Frazione del Pane, assetata di Gesù e del suo Spirito, memore del Battesimo, fonte di acqua che rigenera per la vita in Cristo.

Affido queste Mie riflessioni e indicazioni soprattutto ai Sacerdoti, in questo Anno che la Chiesa ha voluto dedicare loro, come segno della fiducia che ripongo nel loro ministero all’interno delle nostre Comunità credenti, perché si facciano portatori di questo messaggio liberante che viene dal Vangelo.

Esorto con cordialità i Diaconi della nostra Chiesa ad essere sensibili ai temi trattati in questo documento, perché anche loro collaborino a diffonderne i contenuti e aiutino i Sacerdoti in questo compito così importante.

Rivolgo un sincero saluto e un paterno incoraggiamento agli Istituti Religiosi, maschili e femminili, perché non cessino di pregare e di operare per il bene della nostra Chiesa locale e li invito a fare tesoro delle riflessioni raccolte in questo documento.

Provo sincera gratitudine per le nostre comunità e la nostra gente, a cui mi sento profondamente legato, non solo per ragioni connesse al ministero pastorale, ma per aver condiviso e condividere preoccupazioni e progetti per il presente e per il futuro: tutti e ciascuno possano scoprire la grande forza che viene dall’incontro con Gesù e dall’ascolto della sua Parola, che è Spirito e Vita.

Mentre prego con assiduità il Signore, perché ci doni i desiderati frutti spirituali e una rinnovata vitalità apostolica anche in occasione della Visita Pastorale, per intercessione della Vergine Santa, venerata nella nostra Diocesi con numerosi titoli, su tutti invoco la sua benedizione, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Rieti, 1 aprile 2010

Giovedì Santo dell’Anno Sacerdotale