Parrocchie

Vazia, continuano i pellegrinaggi sulle orme dei santi patroni d’Italia e d’Europa

La parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Vazia ha raggiunto domenica 17 novembre Cassino per scoprire la figura e la vita di san Benedetto da Norcia, fondatore della cultura e identità europea

Il pellegrinaggio – l’andare da un posto all’altro “attraverso i campi”, per agra, secondo l’etimo latino – è un atto religioso dell’uomo, una pratica rispondente al bisogno di trovare in un luogo dove si è manifestato il sacro, essenziale alla definizione della vita. «Il vero viaggio di scoperta – scrive Marcel Proust – non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi».

Il pellegrino si sveste dai panni della quotidianità e scopre una dimensione altra, di conversione, guarda il mondo con uno sguardo nuovo, accogliente, si apre alla meraviglia, allo stupore. Esso è come un’immagine o icona in cui si dice e si rivela il mistero dell’incontro dell’uomo con Dio.

Il pellegrinaggio è dunque metafora dell’umano secondo Dio: attraverso di esso – come finestra aperta – è dato di sapere chi è Dio, chi sono io e qual è il rapporto affascinante ed esigente tra l’uno e l’altro. Nel nostro tempo, tentato in diversi modi dalla secolarizzazione, gli alti luoghi dello spirito, costruiti lungo i secoli per iniziativa dei santi, continuano a parlare alla mente e al cuore di tutti, credenti e non credenti, perché tutti risentono dell’asfissia di una società chiusa in se stessa e talvolta disperata.

L’abbazia di Montecassino, alto luogo dello spirito, è stata la meta scelta dalla parrocchia di Vazia per far esperienza del Cristo, ricco di misericordia, presenza vigile nella vita dei santi patroni d’Italia e di Europa. Certo, il bisogno di prendere e scappare, di allontanarsi dalla quotidianità frenetica, noiosa o ripetitiva che sia, di prendere le distanze, in fondo può giustificare la necessità di fare una pausa dalla routine del quotidiano. Ma la ricerca e la voglia di posare lo sguardo, e l’anima, su qualcosa di nuovo, mai visto e sentito, è stato il vero motivo di questo viaggio che non è proceduto in superficie, ma ha scavato nel profondo.

Si è veramente uomini solo se si fa l’esperienza unica e indimenticabile del Dio che arricchisce. E Benedetto da Norcia narra ciò che la presenza operosa di Dio è capace di realizzare, contro ogni aspettativa, nella vita dell’uomo che si abbandona fiducioso alla divina volontà. Bastava osservare attentamente gli occhi velati dei pellegrini di Vazia immersi nella penombra affascinante della Basilica benedettina ricolma dei canti gregoriani dei monaci che officiavano la messa, per capire che il divino non è solo un anelito, una tensione dell’anima ma è necessità, è struttura fondante l’umano. Perché ci hai fatti per te Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te, afferma il santo di Tagaste nelle sue Confessioni.

L’incontro catechetico con dom Alessandro Trespioli nel quale si sono comprese le ragioni della vita monastica e il silenzio che regna sovrano negli spazi claustrali ha scosso le fondamenta dell’anima e rovinato le sicurezze ardite della mente, dirute come la torre di Babele, mettendo a nudo la propria verità. Perché il peregrinare è esercizio di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore, scrive san Giovanni Paolo II a tal proposito nell’Incarnationis Mysterium, bolla di indizione del grande Giubileo dell’anno 2000.

Anche l’incontro con padre Abate Donato Ogliari ha segnato un momento importante così come la sua personale benedizione impartita ha generato una forte emozione negli astanti. Egli ha rivolto alla comunità parrocchiale un saluto ricco di speranza e sollecitudine dopo aver recitato con essa, sulla tomba del Fondatore dell’Ordine Benedettino e di sua sorella santa Scolastica, la preghiera composta da Madre Anna Maria Cànopi, badessa del monastero di San Giulio, al patrono d’Europa. E che si è toccato il mistero lo si è compreso dalle molte testimonianze di chi con gioia ha ringraziato il Signore per il dono ricevuto.

Nel viaggio di ritorno tante sono state le risonanze dei pellegrini che hanno voluto render partecipi gli altri viaggiatori di come «nel silenzio il Signore ha saputo parlare al mio cuore», «di come sono rimasta impressionata dal silenzio assordante di una vita che oggi sembra impossibile, in un mondo chiassoso e confuso come il nostro», di come «sono in attesa di incontralo perché il mio cuore trabocca di speranza che mi dice il suo amore» e di come «nella recita del vespro appena sussurrato e vissuto con i monaci ho percepito in modo netto la presenza di Dio». Ogni uomo ha in sé la consapevolezza di essere uno straniero, un peregrinus, estraneo al luogo e al tempo che vive.

Tutti siamo in cammino per le vie del mondo verso la nostra ultima destinazione, che è la Patria celeste. Quaggiù siamo solo di passaggio. Per questa ragione nulla può il senso profondo della nostra vita terrena, lo stimolo a viverla come una breve fase di sperimentazione e insieme di arricchimento, quanto l’atteggiamento interiore di sentirci pellegrini.