Sullo sfondo di San Pietro, Papa Francesco, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, pregano per un futuro di pacificazione per i propri popoli e per tutta l’area. Con loro il Patriarca Bartolomeo. Ognuno ha pregato nella propria lingua seguendo l’ordine cronologico delle religioni, ebrei per primi, cristiani e musulmani. Poi hanno piantato un ulivo a sancire il comune desiderio di pace di israeliani e palestinesi.
Un’oasi di pace e di incontro dove “il fratello custodisce l’altro”: questo è stato, per poco più di un’ora, il giardino triangolare, tra i Musei Vaticani e la Casina Pio IV, protetto dal caldo e dal sole da due alte siepi, dove i presidenti di Israele e Palestina, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, si sono ritrovati per l’ “Invocazione per la pace” in Terra Santa promossa da Papa Francesco, in presenza del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Sullo sfondo, ben visibile, la Cupola di san Pietro. Ai rumori e al chiasso dei pellegrini e turisti, che ieri pomeriggio sciamavano in piazza San Pietro, hanno fatto da contrappunto le melodie che hanno scandito l’incontro aperto con le parole lette dallo speaker, “Il Signore vi conceda la pace!”. Poco prima, in un clima di grande cordialità, Papa Francesco aveva ricevuto i due presidenti, uno a poca distanza dall’altro, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, all’ingresso della Domus Santa Marta, intrattenendosi per un breve colloquio.
Una cerimonia intensa in cui i rappresentanti di ogni fede, ebraica, cristiana e musulmana, hanno pregato in momenti distinti ma tutti secondo il medesimo schema composto da tre parti: un’espressione di lode a Dio per il dono della creazione, e per aver creato uomini e donne membri di una sola famiglia umana; una richiesta di perdono per i peccati contro Dio e contro il prossimo; un’invocazione a Dio affinché conceda il dono della pace in Terra Santa e renda tutti capaci di essere costruttori di pace. Ogni momento è stato scandito da un breve intermezzo musicale. Lungo i lati del triangolo verde, rabbini, imam, vescovi e cardinali, rappresentanti delle diverse delegazioni, hanno ascoltato in silenzio. Ognuno nella propria lingua seguendo l’ordine cronologico delle religioni, ebrei per primi, cristiani e musulmani. Sono risuonati così versi dei Salmi, la preghiera del Kippur, il “Sabato dei sabati”, e di Nahman di Breslavia, “Signore della pace… sia tua volontà porre fine alla guerra e allo spargimento di sangue nel mondo…”. Il Libro di Isaia, a scandire il momento cristiano dell’invocazione, con l’immagine del lupo e l’agnello che pascoleranno insieme, una preghiera di san Giovanni Paolo II letta in italiano e, alla fine in lingua araba, quella dei Cristiani di Terra Santa, la preghiera di san Francesco, “Signore fa di me uno strumento della tua pace”. Dalla comunità musulmana è giunta la richiesta a Dio di “suscitare il desiderio di dire la verità, di compiere il bene per il bene di tutti, di tutte le genti, rimuovendo l’ingiustizia degli oppressi in questa terra, nutri il tuo popolo che ha fame, e proteggilo dalla paura, tienilo lontano dal male e da coloro che commettono il male, dagli aggressori iniqui”. Il silenzio dei presenti ha accompagnato le letture mentre cresceva l’attesa per le parole di Papa Francesco e dei due presidenti.
“Questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide”: è stato l’esordio del Papa che non cambierà una parola del suo discorso, letto in italiano. “Il mondo – ha affermato il Pontefice – è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”. Ma per fare la pace ci vuole coraggio, “molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”. “La spirale dell’odio e della violenza” si spezza con una sola parola “fratello”. Il presidente Peres riprende subito le parole di Francesco: “israeliani e palestinesi desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”. Ma la pace “non viene facilmente. Noi dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi. Dobbiamo perseguirla per renderla più vicina. È in nostro potere portare la pace ai nostri figli. Questo è il nostro dovere, la missione santa dei genitori”. Poi è la volta di Abbas. Forte la sua richiesta di “una pace comprensiva e giusta al nostro Paese e alla regione cosicché il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente e il mondo intero possano godere il frutto della pace, della stabilità e della coesistenza… Ti supplico, o Signore, di rendere il futuro del nostro popolo prospero e promettente, con libertà in uno stato sovrano e indipendente. Noi desideriamo la pace per noi e i nostri vicini e cerchiamo la prosperità e pensieri di pace”. Un ulivo, piantato a poca distanza dai tre, sancisce il comune desiderio di pace di israeliani e palestinesi. È il momento delle strette di mano cui seguono abbracci e baci tra Peres e Abbas, Francesco e Bartolomeo I. Gesti di pace immortalati dai flash e dalle telecamere di tutto il mondo. I quattro lasciano il giardino ed entrano nella Casina Pio IV per un ultimo momento privato, durato poco più di venti minuti. Risuonano forti le parole del Papa nella sua preghiera per la pace: “Ora Signore aiutaci tu! Donaci tu la pace! Guidaci tu verso la pace!”. Sperare nel processo di pace, da oggi è un po’ più facile.