Una mano tesa anche a Rieti

E se il rapporto più immediato tra l’uomo di fede e la città fosse dare da mangiare agli affamati?

Abbiamo incontrato Diego e Isabella Incitti, dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII per sapere qualcosa di più sull’attività della associazione e sull’iniziativa di dialogo con la città e di raccolta fondi che porteranno in piazza Mariano Vittori il 22 e 23 settembre.

Di cosa si occupa la vostra associazione?

L’idea portante del nostro lavoro è seguire “Gesù povero e sofferente”. In pratica cerchiamo di portare vicinanza e soccorso ovunque ci siano situazioni di miseria e difficoltà attraverso la condivisione diretta. Non siamo la classica associazione di volontariato. Siamo guidati dalla vocazione di portare sulle nostre spalle la croce del povero, che diviene parte integrante della nostra famiglia vivendo insieme a noi. Le nostre case si aprono: cerchiamo di essere la famiglia di chi non ha famiglia.

Ecco dunque l’idea di comunità…

Sì, il nostro fondatore, don Oreste Benzi, partiva dall’idea della casa famiglia intesa come un nucleo allargato, in cui ci sono una mamma e un papà che accolgono e integrano le persone in difficoltà.

Chi sono i vostri ospiti?

Chiunque abbia un concreto bisogno di aiuto, di sostegno, di vicinanza, di amore: bambini in affido a causa di situazioni familiari difficili o perché portatori di handicap, anziani abbandonati, ex carcerati, ragazze di strada, adulti in situazioni di disagio, tossicodipendenti, madri con bambini…

Avete le braccia aperte all’umanità!

È vero. L’uomo è sempre uomo in qualunque situazione si trovi e come tale va amato. Non importa che abbia o meno una colpa, che sia diverso nel corpo o tardo di mente.

La vostra attività è ridotta alla sola casa famiglia?

No di certo! Come Comunità ci sforziamo di fornire ad ampio raggio soluzioni pratiche di contrasto del disagio. Non ci basta accogliere e aiutare. Più importante è lavorare affinché le difficoltà, le discriminazioni, le povertà, lo sfruttamento possano essere rimosse, rese impraticabili. Sfamare il povero, in fondo, non è difficile. La sfida è costruire una civiltà dell’amore, o come diceva don Oreste, la società del gratuito.

Il mondo delle povertà sembra sconfinato…

Lo è, anche se in troppi non ce ne accorgiamo. Eppure a pochi passi da noi, anche nella nostra Italia industriale, c’è chi muore di freddo o perché non ha un pezzo di pane.

Quindi l’iniziativa del 22 e 23 settembre a cosa punta?

Innanzi tutto ad allargare la consapevolezza di questi problemi. In piazza Mariano Vittori saremo a sensibilizzare le persone su un tema apparentemente lontano. La nostra speranza è che dal dialogo arrivino donazioni consapevoli. I fondi, andranno a sostenere le persone che ogni giorno sfamiano o ospitiamo nelle nostre case famiglia.

La Comunità Giovanni XXIII opera in circa 30 paesi del mondo. Ma la situazione in casa nostra com’è?

Insospettabilmente drammatica. Il lunedì e il venerdì ci occupiamo in prima persona della distribuzione di un pasto caldo davanti alla stazione Tuscolana, a Roma. I nostri ospiti sono in continuo aumento e non parliamo soltanto di situazioni al limite. Sono tanti anche gli italiani con le storie più normali.

E a Rieti?

Stiamo cercando di intercettare i bisogni attraverso il passaggio nelle parrocchie. Con l’aiuto dei parroci ci presentiamo alle varie comunità, spieghiamo la nostra vocazione e invitiamo le persone ad incontrarci. C’è da dire che al momento non abbiamo avuto un grande riscontro.

A Rieti manca la povertà?

Non lo crediamo. Più probabile che le persone abbiano difficoltà a rapportarsi pure con i loro problemi. In tanti si vergognano del loro stato di difficoltà o non lo ammettono per troppo orgoglio. Oppure il discorso che proponiamo è lontano dal modo di far fronte alle difficoltà a cui sono abituati. Forse attraverso il centro aggregativo che inaugureremo in autunno riusciremo a far capire il nostro modo di procedere e condividere le difficoltà e le soluzioni. Ma al momento è una scommessa aperta…