Chiesa di Rieti

Un saluto a tu per tu

Il settennato di monsignor Pompili si conclude non senza rimpianti, ma si vuol ribadire che non è una persona, ma una comunità a portare avanti il cammino della Chiesa locale

Solitamente, in simbiosi con il raduno delle varie componenti della Chiesa reatina per l’incontro pastorale, la data del 9 settembre andava a segnare l’avvio dell’anno pastorale. Questa volta il giorno che fa memoria della Dedicazione della Cattedrale ha costituito, per la comunità diocesana, l’ultimo momento celebrativo “ufficiale” per il vescovo Domenico, in vista del suo trasferimento a Verona.

Radunati in tanti – clero, religiosi, popolo dei fedeli, insieme alle autorità – in piazza Cesare Battisti, dinanzi alla chiesa madre: quella basilica superiore che, il 9 settembre 1226, papa Onorio III consacrò dedicandola alla santa Madre di Dio. Le impalcature del restauro, che insistono all’esterno e in parte del transetto, indicano che il restauro post sismico è in corso, limitando, pur se parzialmente, l’utilizzo del tempio. Ci si ritrova così all’aperto per la liturgia che vuol esprimere, ricordando la dedicazione della Chiesa di mattoni, il valore dell’essere Chiesa viva, edificata sulla fede degli apostoli e radunata attorno ai successori di essi che sono i vescovi. E per «rendere grazie dell’amicizia che si è creata» in questi anni trascorsi sotto la guida di monsignor Pompili, sottolinea lui nel saluto iniziale della Messa.

Il settennato di monsignor Pompili si conclude non senza rimpianti, ma si vuol ribadire che non è una persona, ma una comunità a portare avanti il cammino della Chiesa locale. Lo dice chiaramente il vescovo, prendendo spunto dal brano evangelico proclamato, quello in cui Gesù, dialogando con la samaritana, afferma il superamento totale delle diatribe sui templi e il principio per cui Dio va adorato “in spirito e verità”.

La Chiesa, sottolinea l’omelia di don Domenico, fa in fondo quello che ha fatto il Cristo stesso in quell’incontro con l’anonima donna al pozzo di Giacobbe: offrire l’acqua che disseta. La Chiesa infatti «“serve” ad indicare Gesù che col suo Vangelo ci rende persuasi della sete ardente che c’è dentro ciascuno di noi e cerchiamo di spegnere con acque spurie, mentre l’acqua nascosta della vita è Dio, senza del quale siamo a rischio di disidratazione».

Una missione che il vescovo ci tiene a ricordare al gregge che si accinge a lasciare: insegnare la vera “adorazione” di Dio. Pompili, al riguardo, ricorda l’etimologia della parola: «“Ad-orare” è “portare il dito alla bocca”, come quando si perde la parola di fronte a un panorama mozzafiato o ad una situazione sorprendente». Questa è la fede: «credere è perdere la parola e sentirsi avvolti da una presenza benevola che ci dà la possibilità di vivere esperienze di tenerezza e di cura». Proprio in questo senso il suo episcopato a Rieti si è orientato: «In questi anni tante volte ho toccato con mano che laddove esiste tenerezza e cura (pensiamo al lavoro, alla scuola, alla salute, allo sport) là Dio si fa spazio e rende percepibile la sua voce. La Chiesa quando non si limita a ripetere le verità da credere, entra nel vissuto delle persone e lo trasforma».

E “adorare Dio in spirito in verità”, conclude monsignore, significa proprio questo dare senso pieno alla vita, all’esistenza concreta della gente, e la missione dei discepoli a questo deve puntare: «Soltanto Dio restituisce respiro ad una vita che boccheggia, soffocata dalla tristezza e dalla noia! Per questo la vita dei credenti non può che essere una boccata di ossigeno per tutta la comunità degli uomini e delle donne».

Questo, dunque, l’augurio che don Domenico intende formulare alla Chiesa reatina «che saluto per andare a servire quella di Verona». E vuol farlo «con la stessa persuasione di sempre dai tempi in cui ero parroco a Vallepietra», attraverso una bella citazione di Simon Weil, la stessa che usò nel concludere il servizio parrocchiale lì: Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio… Così pure la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Al termine della Messa «il saluto diventa più personale», dice don Domenico, trattenendo a fatica la commozione, prima della benedizione finale. «Grazie per avermi accolto, per avermi accompagnato, per avermi benedetto. Dovrei dire grazie a tanti… Ce lo diremo a tu per tu». E lo fanno in tantissimi, appena lascia l’altare, stringendosi con affetto al pastore che a tutti dispiace dover salutare.